La strage di Marcinelle
Partirono portando con sè valige piene di miserie e di speranze, lasciandosi alle spalle le illusioni di un Paese del dopoguerra, ancora da ricostruire.
Laggiù nel borinage la terra è nera
per tutti gli emigranti morti in miniera.
Sepolti ad uno ad uno
complice oblio
per lor vogliam riscossa e non addio.
(anonimo)
L’Italia non li ha dimenticati nonostante la memoria sbiadisca inevitabilmente dopo più di cinquant’anni dalla tragedia di Marcinelle, nonostante il Paese oggi abbia la sua Marcinelle più recente da ricordare: una tregedia avvenuta dentro i nostri confini, con i morti della Tyssen del 6 dicembre del 2007. Ma quel 8 agosto del 1956 furono in 262 a morire. Gli operai italiani che persero la vita dentro la miniera di carbon fossile a Leboi du Cazier furono invece 136.
D’altra parte, “l’operaio italiano è uno dei migliori” recitava lo slogan stampato sui manifesti per il reclutamento. Furono affissi sui muri di città e paesi soprattutto del Centro e del Sud, già dal 1946, quando fu firmato l’accordo italo-belga che assegnava all’Italia 2500 tonnellate di carbone per ogni mille operai che avrebbe inviato a lavorare nei giacimenti carboniferi della regione del Borinage. Il Presidente del Governo provvisorio Alcide De Gasperi siglò quella convenzione il 23 giugno perchè era un realista, perchè all’Italia servivano materie prime e risorse per poter rimettere in piedi la sua economia e perchè in quel momento il capitale più cospicuo che la nazione possedeva era rappresentato proprio dalle migliaia di disoccupati che poteva esportare. Tra il 1946 e il 1947 partirono 140.000 lavoratori, 18.000 donne e 29.000 bambini. Sembrarono quasi degli eroi nazionali quegli emigranti: il protocollo di scambio uomo-carbone fu pubblicato sulla gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana ancora in formazione e fu accompagnato da una serie di note ufficiali scambiate tra l’Italia e il Belgio che si rivolgevano soprattutto all’opinione pubblica nazionale ed internazionale. L’accordo doveva “dare la dimostrazione al mondo della volontà dell’Italia di contribuire alla ripresa economica dell’Europa” ma oltre la retorica, tutti sapevano che a parlare era la fame. Sicuramente nessuno avrebbe potuto immaginare la tragedia, anche se le condizioni di vita che trovarono quei lavoratori furono disastrose. Solo dopo la tremenda tragedia di Marcinelle venne finalmente introdotta nelle miniere del Belgio la maschera antigas insieme a una regolamentazione più severa in materia di sicurezza sul lavoro. Il Governo Italiano per la reazione scandalizzata della popolazione, della stampa e dei sindacati di fronte all’alto numero di incidenti (in dieci anni, dal 46 al ’56, nelle miniere del Belgio sono morti 600 minatori italiani) con cui si succedevano gli incidenti frenò l’esodo di manovali italiani verso il Belgio. Dal giorno di quell’incidente – dovuto ad un errore umano, si disse – la memoria dei caduti sul lavoro di Marcinelle si conserva nella commozione sincera ma anche in tanta retorica celebrativa. Gli ex minatori rimpatriati e oggi colpiti dalla silicosi certamente lo ricordano. La tragedia è ormai stampata sui libri di storia e ha ispirato molte serie tv e soggetti cinematografici (l’ultimo film, in ordine di tempo, è “Mineurs” di Furio Weltz, del 2007, con Franco Nero e Valeria Vaiano). Anche le nuove generazioni sono informate dell’accaduto, se non altro per il fatto che ogni anno, l’8 agosto in Belgio ci siano le commemorazioni ufficiali, con i rappresentanti dello Stato Italiano. Tutto questo dimostra sicuramente che il nostro paese è memore di tutti quei dolorosi eventi che causano tante vittime: ma ciò che sembra sbiadire è la coscienza del fatto che il non rispetto delle norme per la sicurezza sul luogo di lavoro (che è una costante in Italia tra negligenza,rallentamenti burocratici e opportunismo economico), porta a conseguenze di questo genere. E ciò vale sia per i lavoratori nazionali che per quelli che, come i nostri italiani del dopoguerra, furono emigranti. In occasione della 53° ricorrenza, il presidente Fini ha dichiarato che “Il lavoratore merita rispetto anche se non ha il papier, il documento”: che si possa presto imparare davvero a fare tesoro delle esperienze del passato.
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