La storia sismica dei Colli Albani – Epoca contemporanea prima parte
Ad Albano Laziale da sempre gira una leggenda che profetizza che una città posta tra 4 laghi verrà prima o poi sprofondata sottoterra da una sequenza di terremoti. Gli albanensi hanno sempre creduto che la leggenda parlasse della loro città, soggetta com’è a terremoti e posta in mezzo a tanti laghi: nel 1829 c’erano ancora o si manteneva il ricordo dei laghi di Albano, Nemi, Ariccia, Campovecchio e del laghetto di Turno quando la mattina del primo giugno 1829 dopo una settimana di scosse decise un forte terremoto stimato in 4.7 gradi li gettò nel panico. Immediatamente pensarono all’avverarsi della profezia e fuggirono in preda al terrore mentre larghe fenditure si aprivano nelle case, cadevano fumaioli grondaie ed intonaci. Si rifugiarono all’aperto in campagna per tutta l’estate senza far ritorno nel centro storico mentre i villeggianti se ne tornarono a Roma. Lo stesso accadde a Marino dove letteralmente non rimasero abitanti e le autorità in queste città dovettero prendere provvedimenti contro gli sciacalli. Grande panico fu registrato a Frascati dove già dalle forti scosse del 22 e del 30 maggio la gente costruì capanne in cui accamparsi fuori Porta San Pietro ed in Piazza Spinetta. Molte case anche a Frascati dovettero essere puntellate e tenute insieme da catene: non ci furono feriti ma la lunga permanenza in condizioni igieniche e climatiche critiche causò un forte aumento delle malattie respiratorie, gastrointestinali e si registrarono malformazioni neonatali. Probabilmente peggiorò anche il regime alimentare perché quell’estate nessuno portò avanti i raccolti: 248 scosse avvertibili di cui almeno 21 forti piegarono quell’anno le popolazioni albane.
Il primo terzo dell’Ottocento fu dunque molto tormentato per i centri dei Colli Albani, dopo di allora per fortuna le cronache non riportano altre devastanti scosse per un bel lasso di tempo, cosa che diede alla popolazione la forza di ricominciare. Terremoti di discreta intensità però se ne registrarono: vanno citati quello del 29 giugno 1855 a Frascati che ebbe una magnitudo equivalente di 4.2 gradi, quello ben più forte del 12 dicembre 1861 a Rocca di Papa con i suoi 4.7 gradi e di nuovo a Rocca si ebbero 4.2 gradi il 16 agosto 1877. Di questi terremoti non abbiamo documenti e si presume che non siano stati così distruttivi visti anche i provvedimenti e le ricostruzioni attuati dopo le scosse della prima metà del secolo.
Con la nascita del Regno d’Italia la natura pare rimpiangere il vecchio Stato della Chiesa e di lì a poco inizia a far ballare i nuovi politici italiani a Roma scatenando uno sciame sismico ai Castelli: sono probabilmente collegate le scosse che si susseguono con continuità dal 1883 al 1893 per finire nella grande scossa del 1899. In questa teoria si segnalano i ripetuti sismi di magnitudo stimata a 5.0 che colpiscono Albano Laziale il 6 febbraio 1884 ed il 17 gennaio 1886, scosse che avranno sicuramente creato danni morali e materiali, ma di cui almeno ad oggi non abbiamo documenti, come non ne abbiamo di scosse più lievi che colpirono Frascati e Rocca di Papa in quel periodo di tempo. Abbiamo invece ampie testimonianze del forte terremoto occorso il 22 gennaio 1892, stimato a 4.7 gradi, ma sicuramente sottostimato visti i danni e l’area del risentimento.
È notte, una notte fredda sui Colli Albani e le popolazioni alle 23:24 dormono nelle case riscaldate dai camini e dalle bestie quando una forte scossa scuote tutto per 10 secondi che paiono interminabili. A Lanuvio (allora Civita Lavinia) cominciano i crolli, poi il silenzio e poi le urla di dolore: la popolazione shoccata si raduna nell’allora Piazza Bernini (oggi Carlo Fontana) tremando per il freddo e la paura. Ci si rincuora, si prega, si discute e si decide di non rientrare nelle case per nessun motivo… Già ma come superare la notte? Il vivace ingegno della gente lanuvina trova la soluzione: si decide di usare le innumerevoli botti sfondate giacenti nella piazza come ricoveri di fortuna, ponendole su un fianco e con l’estremità aperta. Non sarà il massimo ma per le povere genti terremotate è già qualcosa in attesa dei soccorsi che giunsero da Roma già a notte: reparti militari si impegnarono a tirar fuori le persone da sotto gli edifici ed a puntellare quelli pericolanti. Tra i manufatti coinvolti ci furono la torre del castello e Villa Frediani Dionigi. L’epicentro del sisma risentito fino all’Aquila e Caserta venne stimato dal sismografo del Collegio Romano tra Lanuvio e Genzano, dove i danni furono altrettanto ingenti: Palazzo Cesarini riportò danni per 50.000 lire dell’epoca (una cifra elevatissima), il palazzo comunale come il duomo vennero puntellati e pare che quasi nessun muro rimase integro. Almeno 200 sfollati vennero ricoverati in casette di legno, mentre il resto della popolazione sciamò in lunghe carovane verso la campagna.
Per le misere popolazioni di Genzano e Lanuvio fu organizzata una sottoscrizione presieduta dal Generale On. Menotti Garibaldi.
Nel prossimo articolo proseguiremo la disanima dei terremoti dell’epoca contemporanea.
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