La “sindone” di Padre Pio
Le foto sono di Nicola Allegri
Nell’autunno del 1998, ricevetti una telefonata. Un figlio spirituale di Padre Pio mi chiedeva di andarlo a trovare. «Lei è un giornalista che scrive spesso di Padre Pio, io leggo i suoi articoli», disse. «Ho qualche cosa di molto importante da raccontarle».
Padre Pio era morto da trent’anni. Il processo della sua beatificazione era finito e si conosceva già la data della solenne proclamazione della sua santità.
Andai a trovare quell’uomo e mi raccontò una storia così sconcertante da farmi pensare che, almeno in parte, fosse frutto della sua fantasia. Riferii la storia in un mio articolo, ma con tono distaccato, come per far capire al lettore che riportavo fedelmente ciò che mi era stato detto, ma io stesso stentavo a credere che quei fatti fossero realmente accaduti.
Sono trascorsi quasi tredici anni e quella storia è tornata di attualità. Di essa se ne stando interessando alcune personalità ecclesiastiche e anche un famoso scienziato. I risultati finora raggiunti dimostrano che si tratta di una storia seria, anche se incredibile da un punto di vista razionale, che aggiunge un nuovo sorprendente capitolo ai misteri carismatici di Padre Pio.
Quel figlio spirituale di padre Pio si chiamava Francesco Cavicchi. Era un industriale veneto, assai noto a Conegliano, in provincia di Treviso, dove viveva. Aveva 85 anni, e per i suoi meriti gli era stato conferito dal Presidente della Repubblica il titolo di commendatore. È deceduto nel 2005.
Quando andai a trovarlo, mi ricevette nella sua casa, una villetta, alla periferia della città. Mi fece accomodare nel salotto ed entrò subito in argomento. «Posseggo uno speciale ritratto di Padre Pio, che lo stesso religioso mi ha regalato facendolo apparire in maniera misteriosa e inspiegabile su un normale fazzoletto», mi disse. «È un’immagine straordinaria, una reliquia preziosissima, che tengo da quasi trent’anni. Ho parlato di questa immagine con alcuni frati cappuccini e anche con il mio vescovo ma mi hanno sempre raccomandato di non pubblicizzare la vicenda perché poteva essere presa per fanatismo e nuocere alla causa di beatificazione del Padre. Ma, adesso che il processo di beatificazione è finito, mi hanno dato il permesso di parlare e di far conoscere questa misteriosa immagine».
Il commendator Cavicchi si alzò e mi condusse in una stanza accanto al salotto. Accese le luci, aprì una porticina. «Ecco la preziosa reliquia», disse.
L’immagine era conservata in un angolo della stanza, trasformato in una piccola cappella. Il telo, su cui si intravedeva l’immagine, era quello di un normale fazzoletto, segnato, ai bordi, da un caratteristico disegno a righe, tipico dei fazzoletti di un tempo. Era sospeso tra due vetri, tenuti insieme da una grossa cornice dorata e montata su di un piedistallo girevole, in modo che si potesse vedere l’immagine dai due lati. Tutto intorno, fotografie e tanti ex voto.
«Anche se io ho cercato di tenere nascosta questa vicenda, come mi era stato raccomandato», disse Cavicchi «molti devoti ne sono a conoscenza. La storia è stata diffusa con il “passa parola” e spesso ricevo foto di ammalati, con richiesta di preghiere. Io pongo quelle foto accanto all’immagine e qualcuno è anche guarito come dimostrano tutti questi ex voto».
Osservai attentamente e con curiosità l’immagine. Era indubbiamente il ritratto di Padre Pio. Un viso leggermente sfuocato, ma che richiamava in modo inconfondibile le linee somatiche del volto del frate con le stigmate. Se ci si avvicinava, l’immagine sfumava, svaniva quasi. Se ci si allontanava, prendeva contorni più precisi. Proprio come succede guardando la Sindone, il celeberrimo Lenzuolo che, secondo un’antichissima tradizione, avvolse il corpo di Cristo morto e sul quale, in modo misterioso, rimase impressa l’immagine di Gesù. Girando il quadro sul piedistallo, si poteva vedere il rovescio di quel fazzoletto. Mentre da un lato l’immagine richiamava perfettamente il volto di Padre Pio, dall’altro, quel volto rivelava una sconvolgente somiglianza con il tradizionale volto di Gesù. Le linee essenziali restavano quelle del volto di Padre Pio, che però assumeva contorni nuovi, una capigliatura alla nazarena che faceva pensare al Cristo.
«È strano, non è vero?», disse il commendator Cavicchi. «Sono proprio convinto che su questo fazzoletto da una parte ci sta il volto di Padre Pio e dall’altra quello di Gesù. A significare, come tanti hanno scritto, che Padre Pio, con il suo mistero delle stigmate e della sofferenza è stato, su questa terra, un “altro Cristo”».
Qual è l’origine di questa immagine?, chiesi impaziente.
«La storia iniziò alla fine di febbraio del 1968», cominciò a raccontare Francesco Cavicchi. Volto ieratico, occhi vivacissimi, voce profonda, parlava con una calma serafica, senza riuscire però a nascondere la sua emozione. «Ero andato da Padre Pio, che conoscevo e frequentavo da tempo, per chiedergli dei consigli. Avevo fatto il viaggio in macchina con mia moglie e altri amici. Ma, giunti a San Giovanni Rotondo, apprendemmo che il Padre non stava bene e quindi non scendeva dalla sua stanza. Ci fermammo egualmente per alcuni giorni. Poi decidemmo di tornare a casa. Prima di partire andai dal superiore del Convento per sapere se, tramite lui, potevo far giungere il mio messaggio a Padre Pio e avere una risposta. “Perché non parli direttamente con il Padre?”, mi disse. “Sono qui da diversi giorni e non lo vedo”, risposi. “Tra poco scende per confessare gli uomini”, disse lui. E aprendo una porta della clausura mi indicò l’ascensore da dove sarebbe arrivato i Padre. “Aspettalo lì”, disse. Ero solo davanti a quell’ascensore, ed ero preoccupato. Non sapevo come avrei iniziato a parlare con Padre Pio. Lui aveva sempre poco tempo e quindi non potevo perdermi in chiacchiere. L’agitazione mi faceva sudare le mani. Presi il fazzoletto che avevo in tasca e lo tenevo stretto tra le mani per togliere il sudore. Intanto sentii arrivare l’ascensore. Mi inginocchiai davanti alla porta. Quando questa si aprì, il Padre mi diede da baciare la mano e disse sorridendo: “Figliolo, se non ti alzi io come faccio a uscire?” Era vero. Ostruivo il passaggio. Mi alzai. Lui vide il fazzoletto che tenevo in mano e me lo prese. Io subito pensai: “Che bellezza! Poi, quando me lo restituirà, sarà per me una reliquia preziosa”. Camminando accanto al Padre, che era accompagnato da due confratelli, gli confidai il mio problema e, come sempre, lui ebbe la risposta immediata e precisa. Intanto eravamo giunti davanti all’ingresso del convento. Fuori c’era la folla che attendeva il Padre. Appena venne aperta la porta, molti gli corsero incontro per baciargli la mano, per toccarlo. Fu inghiottito dalla gente e io rimasi lì sull’uscio a guardare. Avevo dimenticato il fazzoletto, ma non lo aveva dimenticato Padre Pio. Infatti, si girò verso di me e, mostrandomi il fazzoletto, disse: “Guagliò, e questo non te lo prendi?”. “Ah, sì, grazie”, balbettai ricordandomi che era un ricordo bellissimo. Lui mi fissò negli occhi, dispiegò il fazzoletto, se lo passò sul volto quasi a voler asciugare un ipotetico sudore che non c’era perché era inverno, e me lo consegnò. Il suo era stato un evidente gesto di tenerezza nei miei confronti. Riprendendo dalle mani del Padre quel fazzoletto, ero profondamente commosso e capivo che mi aveva fatto un grande regalo».
Notò qualche cosa di particolare su quel fazzoletto?
«Non c’era niente. Ne sono certo. Era un fazzoletto stropicciato e basta. Ma era stato nelle mani di Padre Pio, aveva toccato il suo volto, e per me era diventato una reliquia eccezionale. Tornato in albergo raccontai la storia a mia moglie e anche lei era felice di avere quell’oggetto. Tornati a casa, lo tenemmo con grande devozione. Io lo portavo sempre con me, come un portafortuna. Lo tenevo piegato nel taschino della giacca e spesso lo facevo vedere agli amici raccontando la storia. Tutti lo toccavano con devozione e, con il passare del tempo, il fazzoletto aveva preso un brutto colore, sembrava sporco».
Quando apparve la misteriosa immagine?
«Il 23 settembre 1969, primo anniversario della morte di Padre Pio. Ero andato in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo con mia moglie e altri devoti di Padre Pio. Avevamo viaggiato, in pullman, di notte, giungendo a San Giovanni alle 5 del mattino. Mi sentivo addosso una grande stanchezza, molto più forte di quella che sentivo in genere dopo gli altri viaggi. Rimasi per un po’ a pregare nella cripta della chiesa, accanto alla tomba di Padre Pio, ma poi, non riuscendo a vincere il sonno, salii nella chiesa, mi sedetti in un banco, in disparte, per riposare. Dopo pochi attimi ero addormentato. E mentre dormivo sognai Padre Pio. Lo vidi partire dall’altare maggiore e venire verso di me. Era sorridente. Giuntomi di fronte, con le mani aprì il saio mostrandomi la piaga del costato. “Toccala”, disse. Non volevo, temevo di fargli male. Ma lui insistette: “Toccala”. Allora misi le dita nella piaga. Quando le ritirai, erano sporche di una specie di patina bianca, attaccaticcia. Istintivamente cercai di pulirle, ma non sapevo dove. All’improvviso comparve un pezzo di stoffa bianca, una specie di fazzoletto, e in quel fazzoletto mi pulii le dita. Ma quella patina bianca lasciava sul fazzoletto dei segni neri. E io, non so perché, passandovi sopra i polpastrelli delle dita ricavai una rozza immagine di Padre Pio. Guardai il frate, ma era sparito. In quel momento qualcuno mi svegliò. Era mia moglie. “Sei molto stanco”, mi disse. “Ma ho anche riposato”, risposi, e aggiunsi: “Vado fuori a rinfrescarmi il viso”.
In fondo al sagrato, davanti alla chiesa, c’era una fontanella, che adesso è stata spostata altrove. Molta gente andava a prendere l’acqua per dissetarsi e anche perché era considerata “l’acqua di Padre Pio”. Mi avvicinai, bagnai le mani e il viso, e tolsi di tasca un fazzoletto per asciugarmi. Invece del fazzoletto normale, per errore presi quello che mi aveva regalato Padre Pio. Una donna, che mi stava di fronte, disse: “Signore, com’è sporco il suo fazzoletto. Vuole che glielo lavi?”. Guardai il fazzoletto e vidi che era piuttosto nero e macchiato. “Sì, laviamolo”, dissi. E mentre pronunciavo queste parole mi meravigliai di quella decisione perché tante volte mia moglie voleva lavarlo e non glielo avevo mai permesso. La donna si avvicinò e cominciò a versare sul fazzoletto l’acqua della sua bottiglia. Io lo sciacquavo tra le mani. Improvvisamente la donna cominciò a gridare: “Padre Pio, Padre Pio”. “Dov’è?” chiesi. “Lì, nel fazzoletto”, disse lei continuando a strillare. Accorse gente. Mi spaventai. Il giorno prima una donna che aveva gridato in chiesa di vedere Padre Pio sui gradini dell’altare era stata presa dai carabinieri e portata in questura. Misi in tasca il fazzoletto tutto bagnato e mi allontanai dicendo: “Non c’è niente da vedere”. Mi rifugiai in chiesa e dopo un poco tornai in albergo».
Su quel fazzoletto quindi si vedeva il volto di Padre Pio.
«Io, per la verità, vedevo dei segni neri sconnessi, simili a quelli che mi pareva di aver tracciato in sogno. Potevano far pensare al volto di una persona, ma non erano chiari. E io, pur comprendendo che qualcosa di misterioso stava accadendo intorno a quel fazzoletto, non volevo essere ingannato. Per questo non dissi niente a nessuno. Neppure a mia moglie. Prima di andare a letto, stesi il fazzoletto sul comò della camera perché si asciugasse. Al mattino, durante la Messa, pregai Padre Pio che mi “facesse capire” il significato dei segni comparsi sul fazzoletto. E gli chiesi anche di poter confidarmi con mia moglie. Sentii subito un forte profumo e lo interpretai come il permesso di parlare con mia moglie.
Mentre tornavamo in albergo, raccontai a mia moglie quanto era accaduto. Saliti nella nostra camera, andai a prendere il fazzoletto e glielo misi davanti agli occhi. “Tu, che cosa vedi?”, le chiesi. “Il volto di Gesù”, disse lei. “Quale Gesù, è Padre Pio”, ribattei. “No, per me è il volto di Gesù”. Guardai e mi resi conto di aver mostrato a mia moglie un’immagine diversa da quella che avevo visto io. Girai il fazzoletto, e dall’altra parte c’era il volto di Padre Pio composto con quei segni neri e sconnessi che avevo notato anche la sera precedente, ma adesso il volto appariva nitido e dettagliato. Nel corso della notte, sul fazzoletto si erano quindi formate quelle due immagini misteriose, distinte e diverse, che richiamavano il volto di Gesù e quello di Padre Pio.
Ero confuso e spaventato. Non sapevo che dire né che fare. Mi consigliai con alcuni religiosi. Tutti, vedendo l’immagine, rimanevano meravigliati ma poi mi dicevano di tenerla nascosta. Tornato a Conegliano, parlai anche con il mio vescovo e anche lui mi consigliò il silenzio. Temevano che potesse suscitare fanatismo e creare danno alla causa di beatificazione. E io ho obbedito. Ho tenuto sempre nascosta questa immagine. La mostravo solo a chi aveva l’autorizzazione dei Frati Cappuccini. Ma, come ho detto, adesso ho il permesso farla conoscere. E spero che si voglia finalmente esaminarla per capire quale sia il suo valore e il suo segreto».
Lasciai la casa del commendatore Cavicchi perplesso. Pur avendo stima di quell’uomo, che era un grande devoto di padre Pio e per tanti anni era stato il responsabile dei “Gruppi di preghiera” della sua città, carica che viene data solo a persone che si distinguono per prudenza e spiritualità, la storia che mi aveva raccontato non mi convinceva pienamente. La riferii in un lungo articolo, come avevo promesso a Cavicchi e poi non me ne interessai più.
Nel 2005 Cavicchi morì. Il famoso fazzoletto venne consegnato a una comunità di Frati che, ad un certo momento, decisero di far esaminare quell’immagine a un esperto.
Si rivolsero al professor Giulio Fanti, professore dell’Università di Padova. Fanti è un matematico, docente di “Misure Meccaniche e Termiche” presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università patavina, uno scienziato di grande fama che ha partecipato alla preparazione di diverse imprese spaziali USA, ma è anche un grande esperto della Sindone, sulla quale ha fatto importanti ricerche, scritto libri, ed è studioso anche di quelle immagini misteriose, definite “acheropite”, termine che deriva del greco e che significa “non fatte da mano dell’uomo”.
Il professor Fanti ha compiuto le sue ricerche arrivando a conclusioni che hanno veramente dell’incredibile.
«Le due immagini che si vedono su questo fazzoletto non hanno alcuna spiegazione scientifica e non sono, quindi, opera umana», mi ha detto il professore. «Queste immagini hanno le tipiche caratteristiche della Sindone: non sono state dipinte, non sono state disegnate, sulla tela non si trova nessuna traccia di colore o di altra sostanza. La Scienza deve essere aperta a tutto e se esiste un oggetto strano di cui non si conosce l’origine, la strada giusta è indagarlo».
Che tipo di ricerche ha compiuto su questo fazzoletto?
«Tutte quelle necessarie in casi del genere, utilizzando i mezzi scientifici più moderni e sofisticati: analisi fotografiche nel visibile, nell’ultravioletto, nell’infrarosso, analisi chimiche, analisi al microscopio elettronico eccetera. La conclusione è inconfutabile: è impossibile che queste immagini siano di opera umana».
E quale, secondo lei, potrebbe esserne l’origine?
«Non è compito della Scienza stabilirlo. Noi osserviamo ed esaminiamo i fatti. Sarebbe lungo illustrarli nei dettagli. Mi soffermo su uno. Queste immagini sono frutto non di “pigmentazione”, ma di “mancanza di pigmentazione”. Mi spiego. Se io dipingo un tessuto e poi lo esamino al microscopio, trovo che le fibre nella zona dell’immagine sono colorate mentre il resto del tessuto non lo è. Nel fazzoletto di Cavicchi, avviene invece il contrario. In corrispondenza dell’immagine, le fibre appaiono “de-colorate”, cioè hanno perduto il colore naturale della loro sostanza. L’immagine, quindi, è data dalla “perdita” di colore delle fibre in quel preciso punto. È veramente arduo pensare che esista qualcuno in grado di “compiere” un intervento del genere. Ma c’è di più. Anche a livello delle fibrille, i conti non tornano.
Le fibrille sono i filamenti di tessuto che costituiscono la fibra ed hanno un diametro di dieci millesimi di millimetro. Nella zona dell’immagine, le fibrille non sono “de-colorate” per tutta la loro lunghezza, ma solo in alcuni punti, quelli utili a formare l’immagine. Nessuna persona, con nessun mezzo oggi conosciuto, potrebbe eseguire sulle fibrille un intervento del genere».
Il professor Fanti è una persona riservata, di poche parole, ma la sua fama nel mondo scientifico è grande. Per questo le sue affermazioni riguardanti il fazzoletto di Cavicchi, affermazioni così chiare e decise, pesano come macigni e inducono a serie riflessioni.
Didascalie delle foto
Foto 1 – Francesco Cavicchi, industriale veneto, fotografato nella sua casa a Conegliano nel 1998, quando raccontò la storia delle misteriosi immagini che erano apparse sul un suo fazzoletto.
Foto 2 – Francesco Cavicchi mostra il reliquiario nel quale per trent’anni tenne nascosto il fazzoletto con le immagini di Padre Pio e di Gesù.
Foto 3 – Un primo piano del fazzoletto di Francesco Cavicchi con l’immagine del volto di Padre Pio.
Foto 4 – Il professor Giulio Fanti, docente universitario, matematico di fama mondiale e studioso della Sindone, mostra una riproduzione delle immagini del fazzoletto di Cavicchi che ora sono state da lui sottoposte a meticolosi test scientifici.
Foto 5 – Il professor Fanti indica sul monitor quanto grande possa apparire una “fibrilla” del diametro di dieci millesimi di millimetro, vista al microscopio elettronico. «Nessuna persona, con nessun mezzo oggi conosciuto», afferma «potrebbe aver eseguito sulle fibrille di questo fazzoletto un intervento come quello che è avvenuto».
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento