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LA SCUOLA DELLE NONNE

LA SCUOLA DELLE NONNE
Settembre 23
11:05 2024

Un interessantissimo libro di Marisol Burgio di Aragona

Non posso dire se questa attraente narrazione mi abbia irretito più per la vivezza delle immagini o per le atmosfere di un passato che anch’io ho vissuto e serbo intatto nel cuore.

Si tratta, appunto, del libro “La scuola delle nonne” di Marisol Burgio di Aragona (La vita felice ed., Milano dic. 2023, pp. 204, E. 18,00).

Nel risvolto di copertina l’autrice afferma che con il suo testo vorrebbe “trasmettere quel fascino antico che le vite dei nostri antenati emanano, qualunque sia la loro origine e la loro estrazione sociale, e ribadire quanto sia importante conoscere il passato per cementare i mattoni del nostro tempo”.

Come sottotitolo, molto esplicativo: “Viaggio nel passato attraverso la cucina di una nonna dalmata e di una renana”. Ed ecco le due donne: nonna Amelia, slava, veniva dalla Croazia, ma  ha trascorso gran parte della sua vita in Sicilia; nonna Elisabetta, minuta, occhi azzurri: “…la sua terra era la Renania. Solo la morte riuscì a separarla da quel luogo di origine”. Due persone che parlavano lingue differenti, appartenenti a diverse classi sociali, con aspetto fisico agli antipodi (“eppure la storia le ha unite nella cucina attraverso di me, nipote attenta a carpire i segreti dell’arte culinaria dell’una e dell’altra”).

Nonna Amelia conobbe nonno Luigi, principe di gattopardiana memoria. Sei mesi dopo un indimenticabile pranzo di matrimonio, i giovani sposi si imbarcarono per un lunghissimo viaggio: Palermo era la meta e lì vissero insieme per sessanta anni: tre figli (e la cucina fu  il regno di Amelia).

Dall’altra parte troviamo nonna Elisabetta che viveva a Dusseldorf, città nel cuore della verde Renania. Proveniva da una famiglia di gioiellieri e risiedeva a Ratingen durante la seconda guerra mondiale, col marito Paul  e due figlie, Sibilla e Doris. La sua casa fu distrutta dalla guerra. Il nonno Paul fu mandato in Unione Sovietica: nel freddo inverno del 1941/42 era lì affrontando “l’inadeguatezza dei vestiti e soprattutto delle scarpe”. La sua  storia in Russia è veramente un racconto che si stenta a credere sia vero: “la volontà di ritornare a casa per questi uomini eccezionali è stata così forte che hanno superato prigionie, freddo, scarsezza di cibo… Ritornò dalla guerra  invecchiato, umiliato, indebolito dalla fame, dalle ferite, dai chilometri…”.

La cucina di nonna Elisabetta, ricorda la scrittrice, era maiolicata, con la stufa in ceramica, il camino. Andava da loro ogni anno, da sola, in aereo, affidata al personale di volo, unica nipotina che i nonni coccolavano e riempivano di premure. Poi le cose cambiano e agli inizi degli anni novanta quel villino fu espropriato dal comune per fare posto a un parcheggio multipiano: lì dove la nonna aveva vissuto mezzo secolo. In quel momento così triste lei prese in una cassapanca un quadernetto dalla copertina rossa, dove erano ricette scritte di pugno della nonna con una grafia dai caratteri un po’ gotici. L’autrice allora ce ne trascrive tante da far venire l’acquolina in bocca al solo immaginarle. Di contro, ci sono le estati giù in Sicilia, dagli avoli Luigi e Amelia, vicino al mare (nel ricordo senti quasi il profumo di gelsomino, e ritrovi il sapore del pomodoro siciliano, la ricotta salata…).

Tuttavia, non è un libro di ricette, ma un insieme di storie di due famiglie: usanze, cambiamenti, ricordi struggenti. A fianco, nel bel racconto, c’è la cucina nordica, che dipinge – attraverso le pietanze – un diverso modo di vivere e di vedere la vita. Si contrappongono le abitudini sobrie del Nord all’opulenza e ricchezza dei sapori dell’arte dolciaria siciliana (“unione felice di un crocevia di culture e storie personali tanto diverse tra loro” che hanno inserito in un ambiente multiculturale la scrittrice).  “La mia Sicilia” è il titolo di un capitolo di questo prezioso libro, che prende il lettore fino alla fine immergendolo nelle atmosfere isolane che l’Autrice descrive con sapiente misura e palpitante emozione.

L’ultimo capitolo tratta dei tempi più recenti: i suoi genitori (due mondi opposti che, intrecciati con le rispettive culture, tradizioni e abitudini, formano  una nuova linfa vitale). La scrittrice non mostra preferenze tra le due nonne; loro non stanno in competizione, perché sono nel suo cuore senza gareggiare nel suo ricordo. “Nonna Amelia e nonna Elisabetta  non parlavano una lingua comune, non si sono mai incontrate ma “l’amore che hanno espresso entrambe attraverso le loro mani esperte nel preparare il cibo per la famiglia aveva qualcosa di magico, di misterioso, di antico e sapiente”. Appena terminato il racconto, vien voglia di ricominciare a leggerlo, per quella forza narrativa che fa uno stile, in questo caso quello della scrittrice in oggetto (e lo stile, lo sanno i grandi critici, è impulso inconscio: ecco perché ci sono opere di consumati autori, le quali non lasciano nulla dentro il cuore del lettore; e pagine di novelli autori, che illuminano una visione della vita e danno – anche se breve – un’alternativa  spirituale al mondo presente).

 

 

 

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