La scrittura di Noemi Israel
Un teatro che si mette in scena da dietro le quinte, attraverso un’ambientazione che prende forma dai camerini di un’altro spettacolo già in corso, ma anche ponendo in evidenza, con un’assecondante lievità, taluni aspetti del nostro esistere contemporaneo. Scrittura che è parte di un processo osmotico tra realtà e finzione, nondimeno è anche una vera e propria scrittura offerta all’attore da parte dell’attrice, nonché perno dell’intera vicenda. Una provocazione rappresentativa della compravendita quale modello vigente del relazionarsi ma che, tuttavia, diviene anche paradossalmente paradigma di presa di coscienza dalle circostanze.
C’è una finzione scenica che resta intrappolata dal reale nella consapevolezza della realtà-finzione circostante, mercificazione uniformante ostentazione deprivata del sentire dell’io. Il tutto si svolge tramite un copione da lei precostituito ed al quale lui, in quanto pagato, dovrà teoricamente attenersi, in un appuntamento settimanale scandito dal giovedì.
Naturalmente le cose si complicano subito, tra orgogli timorosi di rimanere impantanati nel gioco. Un gioco che s’innesca, a tratti stravagante, fino a modellare dettagli in simboli ed ortaggi in fiori fuori copione, per i protagonisti un percorso con cui contaminare la tensione esistenziale attraverso la recitazione. Il tutto viene gradualmente tinteggiato dell’arte allusiva dell’erotismo, del tutto antitetica alla preponderante omologazione dell’esplicitazione, pornografica a partire dalla mancanza di un autentico oggetto del desiderio. Una sorta d’ipertesto emblematico del vivere e di tutte le sue varianti è quanto s’insinua tra le righe pronto a fuoriuscire, ma nondimeno è lo stesso testo che costituisce il solo punto di riferimento risolutivo percorribile. Dulcamara e il suo codazzo di maschere della commedia dell’arte dà consistenza a quanto detto, comparendo infine a mo’ di demiurgo. È lui che media e dispensa l’elisir d’amore. Show-room con sex-machine telecomandata dell’orgasmo “da copione” è quanto la co-protagonista non sceglie scritturando l’attore sì con un suo copione, ma nella segreta speranza che sia anche in grado di tradirlo dalla finzione. D’altronde il reale è parte di una degenerata ipocrisia, tanto che infine non si stenta a chiedere “asilo alla finzione”, “lontano da malsane verità”. Trionfa infine l’amore, ma nel quotidiano folgorato con un’ultima battuta, che meglio rende il qui ed ora in una dimensione che trascende.
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