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La riduzione del ‘tempo’ ad oggetto di banalità – 3

Aprile 10
02:00 2008

L’otium non è lo stato del ‘fannullone’, ma rappresenta una condizione privilegiata, appartenente ad un’élite aristocratica che non deve fronteggiare le difficoltà quotidiane della sopravvivenza materiale. In un certo senso, l’otium (di cui il negotium è la negazione) è una virtù, un talento, che presuppone molteplici e diverse qualità creative, anzitutto l’abilità e la capacità di impiegare il proprio tempo libero realmente disponibile, per migliorare e valorizzare progressivamente e costantemente la qualità della propria esistenza, grazie ad una serie di impegni gratificanti: la lettura di buoni libri, la visione di buoni film, l’ascolto di buona musica, l’amore, l’amicizia, la buona gastronomia, le belle arti, il godimento delle bellezze naturali e di ogni altro piacere che la vita è in grado di offrirci, soltanto se lo volessimo e sapessimo organizzare il nostro tempo, e se, anzitutto, ne avessimo la possibilità.
Il ‘tempo’ è stato e può essere concepito in quanto ‘durata’, ‘successione’, in maniera lineare o circolare, finito o infinito, assoluto o relativo, oggettivo o soggettivo, unico o molteplice, ma una cosa è certa: senza di esso non esisterebbe nulla.
Difatti, se non esistesse o, per meglio dire, se noi non tenessimo più conto del flusso del tempo, dell’esperienza vissuta, dei giorni e delle notti, dei cicli stagionali, degli anni, della nascita e del tramonto del Sole, dell’età che avanza inesorabilmente, della vita e della morte, insomma se noi vivessimo a prescindere dal ‘tempo’, se noi fossimo immortali, molto probabilmente non potremmo e non sapremmo apprezzare i veri ed essenziali valori della vita e del mondo, saremmo condannati ad un cieco destino senza fine. Immaginiamo, per un momento, che la Terra fosse circondata da una sorta di immenso ‘guscio’ che oscurasse il Sole, impedendo la nostra percezione, o coscienza, del ‘divenire’ e dello scorrere del tempo: quali sensazioni proveremmo? Oppure, cosa accadrebbe se abolissimo tutti gli orologi, i pendoli, le clessidre, i calendari, e ogni criterio o strumento di misurazione temporale (per quanto relativa possa essere, secondo la teoria einsteniana della ‘relatività’ oggettiva del ‘tempo’, scientificamente e matematicamente misurabile)?
Probabilmente non ci sarebbe e non sarebbe affatto possibile alcun ‘progresso’, e non avremmo mai potuto realizzare tutto quanto l’umanità ha saputo compiere : l’invenzione della scrittura, la scoperta del fuoco e dell’agricoltura, la lavorazione dei metalli, l’invenzione dell’energia elettrica e dei calcolatori elettronici, la scoperta della matematica, la pittura, la scultura, la poesia, la musica, la letteratura, il teatro, il cinema…. : l’elenco dei ‘progressi’ e delle ‘conquiste’ compiute dall’umanità nel corso del tempo sarebbe lunghissimo. In altre parole, non esisterebbe alcuna traccia di civiltà, di cultura, di intelligenza dell’uomo, e non vi sarebbe alcun segno della nostra stessa presenza sulla Terra.
Perciò, grazie di esistere al ‘tempo’, a ciò che, convenzionalmente, definiamo tale, alla vita e alla morte, nella misura in cui senza la morte, ovvero senza il ‘tempo’, non potrebbe esserci nemmeno la vita, e noi non sapremmo come e quanto apprezzare, riconoscere e consolidare i valori, i beni, le ricchezze, le bellezze, i piaceri e le gioie che l’esistenza medesima è in grado di offrirci, proprio in ragione del fatto che possiamo e sappiamo riconoscere e disprezzare (e, paradossalmente, apprezzare) il male, la violenza, l’orrore, l’ingiustizia, le bruttezze, la malvagità, la prepotenza, i dispiaceri, il dolore, la morte.
(Fine)

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