La Questione femminile in Afghanistan
Si è svolto recentemente a Roma, presso la sede dell’Associazione Averroè, una conferenza per riproporre la questione della condizione delle donne afgane. Prima di parlare di questo appuntamento intensamente vissuto, occorre ripercorrere, sia pur brevemente, il percorso della storia recente di quella nazione. Era l’ottobre del 2001, poco meno di un mese era passato dall’attentato al World Trade Center a New York, quando i bombardieri americani riversarono sull’Afganistan, governato dai Talebani, il loro carico di morte e distruzione. L’operazione militare si poneva nell’ambito della lotta al terrorismo intrapresa dall’amministrazione Bush, in seguito al sanguinoso attentato che era costato la vita a migliaia di persone. Dopo sette anni, in Afganistan qualcosa è cambiato ma molte cose sono rimaste le stesse: in alcune zone i Talebani sono ancora attivi sia politicamente che militarmente, tanto che il presidente Karzai si è visto costretto a scendere a patti con loro.
In questo articolo voglio parlare di un’altra cosa che non è stata presa poco in considerazione dalla stampa italiana ed è la condizione della donna in Afganistan. Negli ultimi anni, nei paesi arabi più avanzati come il Marocco e la Tunisia si è assistito alla nascita di movimenti democratici tesi a dare maggiori diritti alle donne nel mondo arabo. In particolare, il Marocco ha visto l’avanzare di un movimento femminista che ha trovato un valido interlocutore nel re Mohammad VI che ha inaugurato una politica di apertura nei confronti delle opposizioni e promosso una riforma del codice civile e del diritto di famiglia sancendo così la parità tra uomini e donne. Grazie a queste riforme, il Marocco è diventato un punto di riferimento delle donne dell’Islam. Tornando all’Afghanistan “liberato”, dobbiamo sottolineare l’importanza dell’opera svolta dalle organizzazioni umanitarie come Action Aid. Un’organizzazione non governativa che opera in moltissime zone del Terzo Mondo per garantire il diritto al cibo, lotta contro il virus dell’HIV, una governance giusta e democratica soprattutto nei confronti delle fasce più deboli e i diritti dell’infanzia. Uno dei più gravi problemi dell’Afganistan è stata proprio l’istruzione, in particolare quella delle donne. A causa dei conflitti e dei regimi che si sono succeduti, proprio per loro: le donne, c’è stato un gravissimo ritardo negli studi.Conosciamo la storia dell’Afghanistan attraverso i reportage dei vari telegiornali: dopo il ritiro dei sovietici, la resistenza afgana appoggiata dagli USA occupò Kabul e dopo un processo sommario giustiziò il capo dello stato Muhammad Najibullah. Il potere venne assunto dalle varie fazioni che avevano lottato contro i sovietici. Purtroppo, a causa dei contrasti tribali, il piano di pace proposto dall’ONU non poté essere applicato, e tutto ciò portò alla presa del potere da parte dei Talebani esponenti di una setta islamica integralista sannita, armati dal Pakistan e dagli USA. Nel 1996, i Talebani occuparono Kabul costringendo i mujahidin a ritirarsi nel nord dell’Afganistan. Con il regime dei Talebani il disastro fu totale, a soffrire di più furono le donne alle quali venne negato ogni diritto, dall’istruzione all’assistenza sanitaria. Con la caduta del regime dei talebani grazie anche all’apporto americano le difficili condizioni delle donne dovrebbero essere cambiate. La nuova costituzione ha stabilito che uomini e donne sono uguali e questo fa sì che le donne possano essere elette al parlamento. Secondo l’avvocato Nasima Rahmani, responsabile dei Diritti delle Donne per Action Aid in Afganistan, le priorità della classe politica afgana dovrebbero essere le seguenti: l’educazione soprattutto delle donne; l’indipendenza economica e quindi il diritto delle donne di poter lavorare ed essere autosufficienti economicamente; la tutela delle donne da episodi di violenza; l’accesso delle donne alle cure mediche. Purtroppo, in Afghanistan e in altri paesi arabi la violenza verso le donne è molto radicata e culturalmente accettata, nonostante poi la legge cerchi di perseguire gli autori di queste violenze. L’avvocato Rahmani ha sottolineato che la maggior parte di queste violenze avviene in famiglia: matrimoni forzati, molestie e stupri fanno parte della cultura di questi paesi. C’è addirittura una specie di legge non scritta che vede nella donna una soluzione alle controversie e alle faide tra le famiglie come, ad esempio, il caso delle spose bambine in Pakistan o nello Yemen. Emerge quindi che molto in questi paesi deve essere fatto, e le nostre speranze non possono essere poste solo nelle armi degli eserciti della coalizione, ma anche e soprattutto nelle associazioni come Action Aid che grazie ai suoi centri di incontro offre aiuto a molte donne, per aiutarle sulla via della loro emancipazione. Un’ultima cosa prima di chiudere: non è un problema di religione islamica ma della scarsa conoscenza della religione che crea questi mostri.
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