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La politica a lezione dagli studenti

Ottobre 28
12:13 2008

Non possiamo che esserne contenti. In una lettera spedita a Veltroni quando era ancora sindaco di Roma, di fronte all’emergere nella nostra città di episodi di intolleranza xenofoba, chiedevamo ad alta voce di non abbandonare un’intera generazione alla frustrazione e al senso di sconfitta e ricordavamo che questi sentimenti, in assenza di spazi di relazione e di misure di sostegno, rischiano di tramutarsi in paura e aggressività contro il diverso, in tribalismo identitario e odio. Il Sindaco, oggi leader del Pd, non rispose. Ma forse, ed è questo il punto, non avrebbe potuto fare altrimenti. Il livello di scollamento della classe politica dalla vita delle persone ha toccato l’apice in questi ultimi anni, ed è forse un’illusione pensare che possa essere un colpo di bacchetta magica a recuperarlo. Serviva altro, una scossa sismica. Ed è quello che sta accadendo in questi giorni.

All’interno dell’ondata di protesta contro i tagli all’istruzione i giovani, infatti, stanno ricostruendo quel mondo fatto di relazioni, di discussioni e di scambio di idee che nelle nostre città è sempre più difficile trovare. Il fatto che questo avvenga nella forma del conflitto, parla chiaro dello stato di immobilismo e solitudine a cui la società li ha relegati. La contraddizione tra quello che le giovani generazioni vivono e sentono e la rappresentazione che i media e la politica ne danno è arrivato ad un punto di non ritorno: o si piegano ad essere consumatori passivi, utenti di servizi scadenti, lavoratori low-cost disposti ad accettare le condizioni più brutali, o diventano di colpo potenziali criminali, portatori di valori negativi, nichilisti e rabbiosi.

È precisamente questa doppia morsa che in questi giorni stanno cercando di ribaltare. E lo fanno a partire da ciò che li accomuna maggiormente: il fatto di essere predestinati a non avere speranza.

Non è affatto vero, infatti, che gli studenti credono di non avere futuro, un futuro ce l’hanno e lo conoscono assai bene, solo che non lo accettano. Quel futuro si chiama precarietà e basse retribuzioni. Per questo chiedono più soldi per studiare e insegnamenti qualificati. La realtà è che in Italia chi studia ha una possibilità remota di veder riconosciute le proprie competenze nel mercato del lavoro. La scuola e l’università hanno smesso da tempo di essere un ascensore sociale, capace di garantire mobilità e promozione a chi l’attraversa. La risposta dei governi che si sono succeduti è sempre stata la stessa: definanziamento e dequalificazione. Nulla è stato fatto per invertire una tendenza perversa che allo scarso valore attribuito alla formazione ha fatto corrispondere un abbassamento vertiginoso delle condizioni del lavoro, specialmente per chi ha una giovane età. Gli studenti questo lo sanno bene ed a questo reagiscono con forza. A chi gli parla di ridurre la spesa e gli sprechi loro ricordano di essere un investimento prezioso per tutti. E non hanno certo torto. Il problema è che non hanno interlocutori credibili né li vogliono. Sono consapevoli che non incontreranno alleati in politica, ma che ne hanno trovati e ne troveranno molti nella società. Il consenso che stanno suscitando nel Paese lo sta a dimostrare. Dovranno trovare la fiducia in sé stessi, e lo faranno quando capiranno di avere la forza di andare avanti nella loro battaglia.

Il Governo li accusa di non avere proposte e di essere condannati a dire solo no. Non c’è accusa più paradossale: è proprio la Politica ad aver dimostrato di non avere più risposte né progetti. Ma ci piace pensare che una possibilità ancora ce l’abbia: investire nel Welfare e nelle misure di sostegno al reddito per i giovani e per i precari e, soprattutto, ascoltare umilmente quelli che non riesce più a rappresentare.

Peppe Mariani

Presidente della Commissione Regionale Lavoro, Pari Opportunità, Politiche Giovanili e Politiche Sociali

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