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La Nuova Chiesa di sant'Eugenio I Papa a Pavona*

Novembre 27
15:25 2014

insediamenti che circondano la Capitale, in assenza di un modello di riferimento.
É interessante mettere in rilievo, tuttavia, il fatto che alla totale mancanza di un ‘ordine’ nel disegno urbano, all’incoerenza organizzativa degli spazi collettivi, non abbia corrisposto il senso del malessere, del disagio esistenziale, altrove drammaticamente presente.
Quello che emerge è una struttura sociale forte, che punta a costruire valori comuni, a ricercare una qualità del vivere di tipo collettivo e la costruzione della nuova chiesa, in qualche misura, ne costituisce un segno esplicito.

Fin dalla sua origine, lo sviluppo del piccolo paese laziale, si è andato modellando e proporzionando, in uno stretto rapporto con la sua chiesa madre.
Man mano che prendeva consistenza l’abitato, la struttura ecclesiale, al di là della finalità legata al culto, sempre più si è andata ampliando, attrezzandosi come un nucleo attivo, promotore e organizzatore di cultura (teatro, cinema, musica, sport, attività giovanili), diventando in questo modo un punto di riferimento totale per l’intero nucleo abitativo.
Nel trascorrere degli anni, avendo la comunità espresso una sempre maggiore compattezza e consapevolezza di sé, appare logica la decisione di intervenire nel corpo della chiesa esistente per modificarne l’aspetto estetico e, soprattutto, per adeguare gli spazi alle nuove esigenze liturgiche. Tale scelta, bisogna precisare, ha come motivo d’origine le scosse telluriche del 1987 che avevano lesionato gravemente la struttura dell’edificio.

L’incarico, affidato a Francesco Pernice, artista e designer, nasce dall’esigenza di realizzare un organismo con una sua precisa connotazione formale: un oggetto immediatamente riconoscibile, un segnale a grande dimensione, che balzasse fuori dal magma indistinto di case e di costruzioni a carattere industriale che affollano la zona, peraltro priva di un definito margine.
Si trattava, altresì, di determinare un’immagine simbolo in grado di stimolare l’immaginario collettivo, una sorta di ‘icona’ a scala gigante, capace di sollecitare sensazioni, emozioni, ricordi, in cui la gente potesse riconoscersi, identificarsi.
Sulla base di tali premesse il nuovo progetto punta a sovrapporsi, ad attraversare, il corpo dell’edificio preesistente, senza cancellarne l’essenza, ma al contrario, esaltandone le tracce primarie, i segni costitutivi dell’involucro.
In questo modo tra vecchio e nuovo viene ad istituirsi una sottile dialettica che rappresenta la trama su cui l’idea dell’edificio prende forma.

Una prima scelta, volta a conferire identità al nuovo intervento, è rappresentata dal ‘distacco’ dalla logica configurativa della vecchia chiesa. Questo avviene attraverso una rotazione dell’asse ideale e visivo che unisce l’ingesso all’altare. In tal modo – considerando come riferimento la fronte d’ingresso- l’atrio viene a porsi a sinistra e, conseguentemente, l’altare a destra. Il tetto, a due falde, realizzato in legno lamellare, ribadisce con la sua linea di colmo la nuova direttrice che struttura lo spazio della nuova chiesa.
Un secondo intervento è quello relativo alla realizzazione di una serie di cappelle che corrono lungo i due lati del vecchio organismo. Esse vengono a determinarsi tramite l’inserto di una parete in cemento armato che, con andamento sinuoso, si inserisce nel corpo della muratura esistente, in parte incorporandola e in parte sostituendosi ad essa. Le cappelle, nel fuoriuscire dall’allineamento parietale originario, sembrano gonfiarsi a causa di una incontenibile pressione interna che spinge verso l’esterno.
Un terzo e conclusivo atto è la costruzione del campanile, elemento simbolo, struttura comunicativa e di richiamo per eccellenza. Si tratta di una forcella che sormonta l’intero corpo e lo trapassa determinando all’interno dell’organismo una divisione dello spazio che allude, senza peraltro volersi determinare in modo netto, ad un endonartece.

In tale processo ideativo, si trovano congiunti in uno stretto intreccio: la storia dell’edificio ecclesiale; le esigenze funzionali; la ricerca di un segno risolutivo, caratterizzante , congruente con le premesse di programma; l’esperienza e la sensibilità dell’autore particolarmente rivolte a questioni strettamente attinenti l’espressione e la comunicazione.
Il filo narrativo che si racchiude in quest’opera, prende forma attraverso una ‘scrittura’ asciutta che punta a raggiungere determinate suggestioni mediante calibrate invenzioni formali, spunti analogici, effetti rammemorativi.
É interessante osservare che l’attenzione principale del progettista non risiede tanto nella ‘misura’ di rapporti quali: aperto/chiuso, semplice/complesso, geometrico/plastico; né nella contrapposizione tra la concisa linearità del prisma di base e l’avvolgente sinuosità della figura libera, dinamica; essa risiede piuttosto in qualcosa di molto più sottile e interiore ossia nella calibrata ‘analisi’ del rapporto tra l’astratto, muto distacco della figura geometrica e l’espressività dell’immagine plasmata dal gesto formatore. Quello a cui l’autore tende nella sua ricerca è un ‘controllo’ globale del processo ideativo, di tipo logico, razionale. Così, una volta determinata la ‘figura’ -intesa come ‘sistema’ di elementi autonomi, o frammenti di essa, ricomposti in una logica ‘differente’- egli procede nella sua ri-configurazione. Questo avviene attraverso l’operazione del ‘ri-disegno’ che è essenzialmente una re-interpretazione dei materiali elaborati attraverso la chiave matematica delle formule booleane; esse danno la possibilità di comporre un oggetto complesso, nato dall’aggregazione di più volumi, operando attraverso ulteriori sommatorie, tagli, asportazioni, intersezioni di entità primarie.
L’alto grado di depurazione formale determinato dal processo analitico a cui è sottoposta la figura conferisce ad essa una sorta di ‘distacco’, di sospensione dal reale, di ‘oggettività a-scalare’.

*La nascita della parrocchia di S.Eugenio I papa, nel territorio di Pavona, risale al 1946 ed è dovuta a Giovanni Battista Montini allora prosegretario di Stato del Vaticano. La chiesa sorge in onore del papa Eugenio Pacelli (Pio Xli). I lavori per la costruzione della chiesa hanno inizio nel 1955. Particolarmente stretti resteranno, negli anni, i rapporti tra il piccolo centro laziale e il futuro papa Paolo VI.
(da METAMORFOSI quaderni di architettura n. 31/32 1997)

Michele Costanzo, nato ad Ancona, si laurea in architettura nel 1968 presso la Facoltà di Architettura dell’Università “La Sapienza”di Roma. Nella stessa città, vive e lavora.

Ha svolto attività di progettista, partecipando a numerosi concorsi nazionali, realizzando opere d’architettura per una committenza pubblica e privata.

Insegna “Teorie del Progetto Contemporaneo” e “Allestimento museale” presso la Facoltà di Architettura Valle Giulia di Roma; é docente nel Corso di Dottorato in “Architettura degli Interni/Arredamento”, e nel Master in “Management per curatori nei musei d’arte e d’architettura contemporanea”.

Ha organizzato mostre d’architettura, curando i relativi cataloghi, e partecipato alla progettazione degli allestimenti: Michelangelo Architetto, presso la Facoltà di Lettere dell’Università “La Sapienza” di Roma 1975; “Festival dell’Unità” a Riano 1975 (con Vittorio Mori); “Festival dell’Unità” presso il quartiere Tiburtino a Roma 1976 (con Vittorio Mori), “I nostri 100 anni” a Palazzo Braschi, Museo di Roma 1979 (con Francesco Pernice); “Libro Aperto” alla Galleria Colonna a Roma 1979 (con Francesco Pernice); “La Città dei Fili” presso la ex Cantina sociale a Ciampino 1979 (con Francesco Pernice); “Montecassino e la cultura scritta” presso il Teatro Argentina di Roma, e all’Abbazia
di Montecassino 1980 (con Francesco Pernice); “Josef Paul Kleihues. Architetture museali” Palazzo delle Esposizioni a Roma 1991 (con Vincenzo Giorgi); “Costantino Dardi. Architetture museali” Palazzo delle Esposizioni a Roma 1992 (con Vincenzo Giorgi); “Costantino Dardi. La Didactique” Salon International de l’Architecture, Grand Halle, La Villette Parigi 1992 (con Vincenzo Giorgi); “Richard Meier Frank Stella” Palazzo delle Esposizioni a Roma 1993 (con Vincenzo Giorgi); “Costantino Dardi. Museum Architecture” Concord Lighting Gallery a Londra 1995 (con Vincenzo Giorgi); “Peter Cook, Christine Hawley and B11” Castel Sant’Angelo a Roma 1995 (con Vincenzo Giorgi).

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