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La “Nostalgia” del film di Martone

La “Nostalgia” del film di Martone
Maggio 31
18:37 2022

La Nostalgia, film di Mario Martone recentemente a Cannes, si divide tra ‘il passato che non esiste’ come recita un dialogo di scena, e la nostalgia pericolosa, quella da cui scappare, come dice il prete di strada, Don Rega, che accoglie l’emigrante di ritorno Felice Lasco fra i vicoli e la dura quotidianità del rione Sanità a Napoli.

Pier Francesco Favino presta il volto ad un napoletano emigrato all’estero per quarant’anni, troppo, per non aver assunto qualcosa, anche nei tratti somatici, dei paesi nei quali ha lavorato, come il Libano o l’Egitto, sua nuova patria vivendo a Il Cairo: ricorda male l’italiano e lo parla con accento straniero. Le barriere verso un passato che chissà perché va cercando, ora che è un fortunato imprenditore con una casa elegante, una moglie bella e innamorata, dovrebbero essere la nuova religione, si è fatto musulmano, le abluzioni purificatrici che ritualmente compie, il tributo al decoro dell’uomo realizzato (una giacca sopra la maglietta a maniche corte che indossa nel caldo clima campano). La Napoli per la quale ci conduce, inizialmente la indaga per lo spettatore superficialmente, lasciando oltre gli occhi, sembra, i significati reconditi che pietre e muri hanno per lui stesso. Poi la città, che appare in brevi sovrapposizioni e ricordi quella di quand’era quindicenne a cavallo d’una moto col fido compagno Oreste, comincia a spogliarlo, con metodo, come fossero strati d’una cipolla, delle vesti difensive che Felice le aveva inizialmente contrapposto. Forse perché i luoghi che lui stesso confessa, ad un antico collega sarto di sua madre, di non trovare mutati dopo quarant’anni, non sono invece più gli stessi, profondamente. S’imbatte, quasi appena arrivato, in una terribile ‘stesa’ di benvenuto e le gragnuole di proiettili sparati in alto non sono scie di stelle…(ciò che Saviano ha impresso con la sua scrittura, come ne La paranza dei bambini non è ignorato, non si può ignorare, anche se per capire la fedeltà del film al libro omonimo di Ermanno Rea occorre leggerlo). Nella spogliazione ‘da straniero a napoletano’ Felice passa oltre il gusto ritrovato per la pizza (perché esistono anche le polpette come le faceva sua madre e la pasta e fagioli); la giacca/corazza ad un certo punto scompare; un goccio di vino accanto all’amico prete si può bere. Non si può, invece, nominare alla presenza di tutti gente come o’ Malommo/Oreste che, seppure è stato compagno della turbolenta adolescenza, adesso col solo nome spaventa l’uditorio, perché tutti sanno che è un malamente senza scrupolo alcuno: «anche i cuori si chiudono col tempo», lo mette in guardia Don Rega. Felice è tornato appena in tempo per accudire sua madre/Rory Quattrocchi finita per colpa d’o Malommo-Oreste in un buco di casa buio e maleodorante: le restituisce bellezza, luce, il giallo e il profumo d’un limone poco prima di vederla andar via, regalando allo spettatore una scena d’indicibile tenerezza e pudore…

Molta letteratura e cinematografia si sono interrogate sul perché si torni sui propri passi dopo un’esistenza lontano da ciò che si è lasciato per noia, disperazione, odio, quel passato che proprio perché ‘non esiste’ non dovrebbe più fare male. Martone reinterroga con la macchina da presa, su suggerimento del testo di Rea, i cari itinerari cittadini fatti di muri e di relazioni chiedendo ancora una volta il perché chi si allontana brami poi una dissoluzione in ciò che ha lasciato; il moloch del passato è sempre alle spalle a chiedere un tributo di sangue agli anni in cui la vittima predestinata è sfuggita di mano? Felice percorre prima le strade della sua nuova Napoli, una città a più livelli che osserva da sotto e da sopra chi percorre il piano stradale (c’è quella antica e c’è quella aerea che dalla sommità delle salite permette una visuale sulle vie sottostanti), e poi scende persino in quella sotterranea portando il suo tributo alla città ctonia, lasciandole un messaggio, che non conosceremo, sotto un teschio impolverato… Il merito ‘magico’ del film è tornare a L’amore molesto senza tornarci: là trovammo una Napoli che faceva sognare per suoni e colori. Qua di sognante non c’è niente ma resta il fatto che il passato si lava col passato e niente più. L’incanto indescrivibile, la felicità d’un pomeriggio di sole e libertà prima che la tragedia cambi i connotati di più vite, un filo di nostalgia nitido e affatto confuso con la luce del sole, la giovane età, un vago senso di colpa per qualcosa che non è successo e che, apparentemente, ha dimenticato di chiedere il conto… Un’ampia riflessione su ciò che c’appartiene. “La conoscenza è nella Nostalgia. Chi non si è perso, non ne possiede”, così P.P Pasolini in epigrafe al film. (Serena Grizi)

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