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La nevicata del ’56 e le cartoline di Frascati

 Odore di neve in zona collinare e torna vivo un ricordo di quel lontano storico inverno.

1956. Frequentavo la scuola di Avviamento Commerciale all’Istituto “Nazario Sauro” di Frascati. Arrivavo da Ciampino con il treno insieme a tanti altri studentelli pendolari. Una mattina di febbraio trovammo la cittadina sotto mezzo metro di neve.

La scuola era aperta ma le lezioni sospese, tutti i mezzi pubblici su strada erano bloccati e il treno per Roma sarebbe ripartito solo nel pomeriggio.

Giorno di libertà e si decise con alcune compagne di fare una corsa al Tuscolo fino alla croce per vedere di sotto il mondo vestito di bianco, poi scorrazzando per il bosco come caprioli ubriachi tornammo giù, alla scoperta di ville e parchi, viuzze e vicoli, fontane e terrazze.

Il profumo e il calore che veniva dai forni ci fece sentire di più fame e freddo e allora riparammo in chiesa, a Piazza San Pietro, ma era gelata come una catacomba. In tutto quel bianco silenzio il tempo sembrava essersi fermato, non sapevamo più che fare.

Si riprese la via della stazione e sul vialone in discesa si pensò bene di fare la scivolarella. Però ci volevano i pantaloni. E i pantaloni me li andai a procurare alla palestra della scuola, nell’armadietto di Stella di Rocca di Papa, fra le pochissime di noi a possederne un paio, una botta di modernità in confronto alla gonna/pantaloni blu della divisa scolastica, solo che erano di puro cotone adatti più che altro per andare al mare. E visto che c’ero presi anche le sue scarpe da ginnastica di tela bianca, e così equipaggiata, munita di un cartone raccolto vicino alla cartolibreria, mi buttai giù per la discesa volando come una piuma. Su e giù, su e giù, bagnata da cima a fondo, sudando e ridendo.

Pure il tempo volò, e prima dell’arrivo del treno corsi a scuola per rimettere a posto il maltolto ma mi accorsi che i pantaloni di Stella si erano tutti sdruciti e in qualche punto strappati. Dovevo correre via e infilai tutto nell’armadietto sperando di farla franca. 

Un paio di giorni dopo all’ora di ginnastica Stella scoprì il misfatto e si capì subito che sarebbe arrivata al colpevole. Dopo una sommaria indagine, che risultò infruttuosa grazie all’omertà delle mie compagne, Stella disse: “Adesso ci penso io” e andò  decisa verso la Direzione. No, dal Preside no! ‒ allora una minaccia estrema e ricorrente ‒ e subito confessai pregando quasi in ginocchio Stella di accordarci tra noi. “Allora me li ripaghi” lei gongolando accettò, “fanno mille lire, subito”.

Mia madre mi dava venti lire al giorno per la colazione e io ci prendevo il maritozzo con la crema da Rosina a Piazza del Gesù. Fatti due conti, risultò che avrei dovuto digiunare per i prossimi due mesi. Cercai di patteggiare, ma Stella fu irremovibile: mille lire o subito in Direzione. Così pensai alla mia raccolta di cartoline illustrate dei Castelli Romani. Ne avevo un bel po’ e sapevo che anche Stella faceva la sua collezione. Feci la mia proposta e lei sparò: “Cinquanta cartoline, tutte di Frascati. Sennò…”.

E fu così che diventai una collezionista spietata pronta a rubare, estorcere, barattare cartoline esclusivamente di vedute frascatane. Quando estinsi il mio debito con Stella, detta Stellina, l’avrei volentieri strozzata. Fra quelle cartoline, una più bella dell’altra, ce n’era anche qualcuna del mio innamorato quindicenne, di Cocciano, che quando mi scriveva all’indirizzo di casa si firmava “Renza” e in un angolo lasciava un messaggio in stenografia che mai sono riuscita a decifrare.