La Natura eternata in un ‘click’. Intervista a Marco Branchi
Abbiamo posto alcune domande a Marco Branchi, romano di stanza a Frascati, esperto fotografo naturalista, convinto che ‘la fotografia rimarrà sempre…‘
D – Parlaci dei tuoi esordi…
R – Cominciai a fotografare nei primi anni Ottanta, quando acquistai una ‘Fuji’ con i tre classici obiettivi, un 28, un 50 e un 135 mm, come si usava allora, quando ancora non era iniziata l’ascesa degli ‘zoom‘. Sono tutt’ora convinto che aver iniziato a fotografare con ottiche fisse, con l’obbligo di esporre e focheggiare a mano mi ha molto aiutato nella crescita fotografica.
Mi interessavo di ‘street photography‘, come si direbbe oggi, con particolare attenzione agli ultimi sussulti del movimento degli anni settanta alle soglie del riflusso, l’epoca dei ‘paninari‘, della deresponsabilizzazione sociale di massa. Il mio limite in quel periodo era una sorta di ‘pudore’ nel ritrarre persone, che a poco a poco mi ha portato a lasciare in disparte quel tipo di fotografia. In ogni caso l’uso del bianconero nella fotografia sociale, e le lunghe sedute in camera oscura a sviluppare e a stampare sono stati passaggi fondamentali. Mi sono avvicinato alla fotografia di natura quasi per caso, scoprendo un mondo affascinante. La rivelazione da un punto di vista fotografico del Parco nazionale d’Abruzzo in compagnia di compagni straordinari, i silenzi dei boschi e delle montagne, i colori dell’autunno, l’incontro con l’animale selvatico, la serenità degli appostamenti in palude, dove la mente si libera del tran-tran quotidiano e inizia a vagare. Nel corso degli anni sono riuscito a riprendere in condizioni naturali animali straordinari ed elusivi, come il lupo, l’orso marsicano, il gatto selvatico. Scatti che mi hanno fatto conoscere nell’ambiente, tanto che da dieci anni faccio mostre fotografiche, organizzo workshop e tengo corsi di fotografia, spesso per conto di associazioni e di Parchi Regionali. Dalla prima metà degli anni Novanta collaboro con l’Agenzia fotografica Panda Photo di Roma, la più importante in Italia nel settore fotonaturalistico, e le mie foto sono apparse in moltissime pubblicazioni, libri, riviste, calendari. Diverse sono state anche utilizzate per campagne di protezione ambientale. La fotografia naturalistica è stata determinante nella scoperta della lentezza, di un modo di vivere ‘altro’, rispetto all’inutilità del modello di vita ‘democratico’ oggi imperante, basato sulla frenesia, sul profitto, sulla finzione.
D – Come hai vissuto la cesura del ‘digitale’?
R – Ore e ore passate a scansionare diapositive, a lavorarle con ‘Photoshop’ per me ha significato un netto calo della vista a distanza ravvicinata! A parte questo è indubbio che dopo un primo momento di smarrimento, c’è stata la presa d’atto dei vantaggi innegabili che la rivoluzione digitale ha portato ai fotografi, anche in termini economici, con una drastica riduzione delle spese e la possibilità di intervenire nella post produzione per migliorare l’immagine. Per contro l’avvento di Internet è stato devastante per le agenzie fotografiche e per la possibilità di vendere immagini. Oggi milioni di fotografie circolano su Internet, dove è possibile trovare di tutto gratis o a prezzi vergognosamente bassi. Per molti giovani fotografi ‘Photoshop’ è la fotografia. Risolve ogni problema. Senza esaltarlo né denigrarlo, è comunque importante. In post produzione si fa quello che prima qualcuno faceva per noi. Sviluppo, gestione delle dominanti, piccole correzioni, ritaglio. Oggi con i software facciamo in proprio le stesse cose, con la possibilità di usare strumenti non invasivi, che permettono di correggere immediatamente un errore. Pensiamo a cosa succedeva quando si rigava un rullo di diapositive o si sbagliava la temperatura di sviluppo. Ma per me è importante rimanere nel campo della fotografia. Utilizzare la post produzione solo per la correzione dell’immagine, del contrasto, della saturazione, bilanciamento del colore ed esposizione. E ancora più importante, realizzare subito la bella immagine. Possedere la tecnica che ci permette di ottenere il famoso ‘negativo perfetto‘. Eviteremo lunghe sedute davanti al computer mentre fuori dalla finestra c’è la vita. Il resto è la ‘barbarie dei forum‘. Qualcosa che potremmo definire foto-Grafia.
D – Vedi un futuro per la Fotografia?
R – Stando ai numeri, sembrerebbe di sì. Milioni di immagini girano giornalmente sui social-net. Oggi qualsiasi avvenimento, privato o pubblico, viene subito fotografato e messo in rete con una velocità impressionante. Ora è inevitabile che questa moda, come tutte le mode, raggiunto l’apice tenderà a diminuire, ma non a sparire. La fotografia rimarrà sempre, come arte e come descrizione e interpretazione della realtà.
D – Hai un consiglio da dare ai giovani che si avvicinano alla fotografia?
R – Non è facile dare consigli in un momento così particolare. Importante è crearsi uno stile, un proprio modo di interpretare le cose. E soprattutto vedere molte immagini, sfogliare molte riviste, frequentare altri fotografi. E poi, quando ci si sente sicuri, rompere le scatole agli editor, alle redazioni, alle case editrici. Senza scoraggiarsi ai primi inevitabili rifiuti. In conclusione, io divido la fotografia in tre grandi correnti: Fotografia come interpretazione, Fotografia come documentazione e fotografia come falsificazione. Quest’ultima oggi va per la maggiore e non possiamo farci nulla. È una fotografia che si vende al miglior offerente, bugiarda, spiona. Ma è un errore imperdonabile piegarla a questi scopi.
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