La nascita dell’industria culturale a Roma
Per un primo inquadramento del fenomeno in questione occorre anzitutto “sintonizzarsi” sulle nuove funzioni polarizzatici di Roma capitale. Lo sviluppo in chiave moderna della città è indotto da fuori: flussi allotri di editori, intellettuali, giornalisti, fotografi e, poi, cineoperatori andranno progressivamente a convergere su Roma, richiamati dalla nuova veste di ufficialità e, dunque, dagli scenari professionali ed economici che si aprono di conseguenza. A Roma “arriva gente da tutte le province, non solo per alimentare la macchina dello Stato, ma anche perché qui, ormai, è possibile far fortuna” 1. Nei caffè è facile incontrare “promettenti scrittori in compagnia di speculatori, artisti, truffatori, attori, ruffiani, giovani politici. Ci sono molti personaggi in cerca d’autore per le vie della città”2.
Si crea un gioco dialettico fra innovazioni dinamiche apportate dai forestieri (in prevalenza settentrionali) e tradizioni statiche conservate dagli indigeni (i “romani de Roma”). È un incrocio e un confronto speculare di immagini, reciprocamente strane e stranianti: quella della Capitale per gli indigeni, quella dell’Urbe per i forestieri. Roma è chiamata ad occultare velocemente la sua tradizione papalina e a farsi moderna, dinamica, rappresentativa: capitale, appunto. I 40 anni che vanno dal 1870 al 1910 segnano a Roma la prima fase di costruzione di un’industria culturale, ovvero della comunicazione, dello spettacolo, del consumo dei linguaggi espressivi. Nasce la civiltà, romana e nazionale, della “riproducibilità tecnica”. La massa è il volano dell’industria culturale – Roma, infatti, comincia ad assumere connotati di metropoli massificata. La rapida urbanizzazione determina una nuova dimensione “popolare”, e dunque nuove esigenze di informazione, conoscenza, divulgazione, cui gli istituti culturali sono chiamati prontamente a rispondere.
Si determina un divario fra due modelli, opposti ma complementari, di cultura: quello “alto” (già codificato in Piemonte e in Toscana), di taglio umanistico e a carattere prevalentemente letterario, destinato ai ceti dirigenti trapiantati nella capitale; e quello “basso” (da poco inaugurato a Milano), d’impronta divulgativa e marcatamente popolare, “di consumo”, destinato alle masse borghesi e proletarie. È l’accorpamento al “pubblico” di questi ultimi ceti ad incoraggiare i tentativi di introduzione del “modello milanese” a Roma, e a determinare lo sviluppo inusitato della stampa. I nuovi romani hanno fame di giornalismo: nascono con grande velocità, in successione, decine di fogli stampati (molti dei quali, invero, resistono un solo numero). La nuova centralità della stampa coincide con l’espansione dei generi di consumo (romanzi d’appendice, diari di viaggi e d’avventure, resoconti di Esposizioni, biografie, dizionari dello scibile, divulgazione scientifica, umorismo) e il predominio del pubblico urbano su quello intellettuale (da sempre ristretta cerchia). Alla nuova domanda culturale rispondono, guidate principalmente da criteri speculativi, da opportunità di profitto economico, le forme molteplici e fluide della nuova offerta: cresce l’”alluvione della carta stampata”3. Con il graduale passaggio a una situazione di mercato culturale, muta di conseguenza il ruolo degli intellettuali, progressivamente integrati nel sistema del consumo e dell’impresa capitalistica, chiamati a una nuova veste di tecnici interpreti e sollecitatori dell’opinione pubblica, nonché – spesso – di mediatori fra modelli “alti” e “bassi” di cultura e rappresentazione sociale. Ci si muove in una dimensione inedita, dai limiti più flessibili e fluttuanti. Caso esemplare: Gabriele d’Annunzio. L’Immaginifico si fa abile traduttore dei miti del lusso e della vita inimitabile, codificando l’evasione letteraria (e poi anche cinematografica) dei ceti cui certe esperienze restano precluse4. La sua “aura” da esteta e grande scrittore è ben lungi da ogni spontaneità od “innocenza”; viene bensì utilizzata per meglio imporre il prodotto sul mercato, per garantirne il successo. È d’Annunzio stesso a curare e coltivare il proprio personaggio, a travestirlo sotto le maschere di cento pseudonimi, di mille identità possibili, vero e proprio Fregoli dell’immaginario. La Roma “Bizantina”, così, si configura come un importante laboratorio di “fermenti e linguaggi che non sono ancora di massa ma ne hanno il sentore nel gusto della mondanità, nella pratica pubblicitaria, nella frequentazione dello spettacolo. Territorio in cui il romanzo ottocentesco si fa novella, articolo giornalistico e melo”5. Due editori, in particolar modo, tentano di impiantare a Roma il “modello milanese” (stampo Treves o Sonzogno): Angelo Sommaruga, che proprio di Milano è originario, ed Edoardo Perino, piemontese.
Sommaruga dà vita ad una produzione dichiaratamente e spregiudicatamente rivolta al “consumo”, adottando per imporla tecniche di réclame (come opuscoli in decine di migliaia di copie). Peraltro, non riuscendo a sviluppare ex novo generi di massa, si specializza nella “sorpresa”. Inaugura così filoni “scandalistici” (congeniali, del resto, al giornalismo letterario romano, vicino al mondo parlamentare e ai salotti aristocratici), pubblicando anche testi erotici che esibiscono copertine osé e lavorando di fino per creare a bella posta casi letterari: libri presentati come “chicche”, bijoux, frammenti di lusso da consumare. Tra le principali iniziative del Sommaruga, l’ideazione della elegantissima rivista “Cronaca bizantina” (1881-85), dove appunto trova voce e corpo ed eco il languido e sontuoso estetismo della Roma decadente di quegli anni (in primis d’Annunzio).
Edoardo Perino, giunto a Roma povero ma ricco d’iniziativa, finisce ben presto per inondare la città con un profluvio di pubblicazioni a buon mercato.
Scrive Sassoli: “Quando arriva a Roma, Perino comincia a stampare tutto quello che c’è da stampare. Biglietti da visita e testi filosofici; romanzi d’amore e vite dei santi. Con genialità imprenditoriale pubblica a dispense testi d’ogni genere: clericali, anti-clericali, rivoluzionari. Per lui scriveranno l’esordiente Grazia Deledda, De Amicis, Ruggero Bonghi, Giustino Ferri. Perino stampa anche Salvatore Di Giacomo, Enrico Panzacchi e, per tre soldi l’uno, i volumetti con le poesie di Gioacchino Belli”6. Quanto a lui personalmente, “gli faceva non poco difetto l’istruzione – cosa che ammetteva, del resto, senza alcuna reticenza – ma, nonostante ciò, questo editore era riuscito a costruirsi una discreta fortuna personale approfittando del facile palato di quei lettori a un passo dall’analfabetismo, dei quali fiutava con sicurezza i gusti, grazie, forse, proprio alla sua confessata ignoranza”7.
Roma, nel frattempo, cambia velocemente. La città cresce, e viene “stravolta” da nuove dinamiche spazio-temporali. L’accelerazione imposta dalla modernizzazione, peraltro, riguarda solo la Roma diurna, mentre di notte permane indisturbato il tempo antico. La frontiera da conquistare è quella di Roma notturna: una città da animare e illuminare con l’elettricità. Gli sventramenti (come quello che cancella la stupenda villa Ludovisi) producono vuoti improvvisi e incolmabili nella memoria e nell’immaginario collettivi. I romani possono provare l’ebbrezza di “possedere” uno spazio urbano sempre più grande, vuoi con le prime linee tranviarie (che, come nota Alberto Abruzzese, consentono uno sguardo che è già cinematografico8), vuoi con l’estensione istantanea del corpo attraverso il servizio telefonico (introdotto nel 1881).
Esplode il potenziale ostensivo e persuasivo dell’immagine (più facilmente alla portata delle masse illetterate). L’”Illustrazione italiana” trionfa non a caso come settimanale più diffuso. Al punto che gli stessi intellettuali, talvolta, vengono chiamati in causa soltanto per corredare le illustrazioni, focalizzate in primo piano sullo scenario dell’efficacia comunicativa.
Insomma: sono ormai maturi i tempi per l’introduzione della settima arte, che raccoglie veicola e rilancia, intensificandole, tutte le pregresse ma finora episodiche manifestazioni della nascente industria culturale. Si deve a Filoteo Alberini, grande pioniere del cinema italiano, il costituirsi embrionale di un sistema produzione-consumo di brevi film: sia come gestore del primo cinema di Roma, “Il Moderno” (aperto dallo stesso Alberini, nel 1904, a piazza Esedra: 20 centesimi l’ingresso), sia come imprenditore del primo stabilimento di manifattura cinematografica, l’”Alberini & Santoni”, sito in via Appia Nuova. Una strada gloriosa e costellata di successi, che avrebbe portato poi alla Cines, ovvero ai primordi stessi di Cinecittà.
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1 D. Sassoli: Roma fra politica, intrighi e gossip, ne I giornali di Roma, supplemento a “La nuova stampa romana”, mensile dell’Associazione stampa romana, a. 6, n. 5, ottobre 2003, p. 7.
2 Ibidem.
3 Espressione utilizzata in uno dei tableaux descrittivi del catalogo Roma, la Capitale – immagini di cento anni (1870-1970), a cura di A. Ravaglioli, vol. 1, edizione del Banco di Roma, Roma, 1970.
4 La mitizzazione sublime e kitsch della realtà ha come scopo di far “sognare” l’uomo comune. L’io anonimo di massa viene trasferito fra gli “dèi” come risarcimento per le frustrazioni quotidiane cui è sottoposto.
5 A. Abruzzese, Archeologie dell’immaginario, Liguori, Napoli, 1988, p. 49.
6 D. Sassoli, op. cit., p. 8.
7 M. Giordano, La stampa illustrata, Guanda, Torino, 1983, pp. 154-155.
8 A. Abruzzese, op. cit., p. 51.
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