La morte di mons. Antonio Riboldi
La morte di mons. Antonio Riboldi
Mons. Antonio Riboldi, nato a Tregusio il 16 gennaio 1923 ed entrato tra i religiosi Rosminiani, venne ordinato sacerdote nel 1951 e inviato a Montecompatri negli anni ’50 come vice parroco di S. Maria Assunta, ma nel 1958, fu trasferito in Sicilia nel Belice dove anni dopo dovette assistere quella popolazione colpita dal terremoto del 1968. Con i terremotati partecipò a numerose manifestazioni anche a Roma per un più concreto intervento dello Stato nella circostanza. Paolo VI nel 1978 lo nominò vescovo di Acerra, in Campania, contrastò la camorra anche attraverso il riscatto e l’emancipazione di molti giovani. Due anni dopo anche l’Irpinia fu devastata dal terremoto. Riboldi fu oggetto sia in Sicilia che in Campania di continue minacce, tanto che il Ministro dell’Interno dovette assegnargli una scorta di polizia. Fu comunque sempre vicino a quanti potevano aver avuto problemi non solo economici ma anche verso la giustizia. Visitò spesso le carceri portando il suo contributo di solidarietà e speranza. Diverse volte era tornato anche nella diocesi di Frascati per celebrazioni e conferenze. In particolare si ricorda un suo intervento nel 1981 per il Centenario della consacrazione della Cattedrale, quando in una meditazione ebbe a dire: “… Quando ci fu il terremoto in Irpinia molti sono intervenuti chiedendosi il perché il Signore avesse fatto morire tremila persone e tanti bambini (a volte pensiamo che Dio sia a nostra disposizione); a parte il fatto che se le case cadono, non le ha fatte Dio ma gli uomini e se cadono le case dei poveri è perché qualcuno ha permesso che ci fossero i poveri, e quindi dovremmo interrogare la nostra carità e la nostra giustizia…”. . In quell’occasione lo intervistai per il periodico del MLAC ‘Presenza e Dialogo Lavoratori’ e ad una precisa domanda sulla realtà del Sud, mi rispose: “… Spesso non vi è fiducia nella Patria. La storia ha dimostrato da una parte, che vi è una storia di incapacità di realizzare una giustizia sociale, mentre al contrario c’è stata una grande capacità di promettere, di fare disegni faraonici sopra la gente… Dove c’è povertà c’è un altro elemento, c’è la ‘prepotenza’ che si innesta sul debole, per cui anche il potere può dare una sensazione di oppressione anziché di promozione. Chi comanda, chi emerge sa di tenere in mano la povera gente, di ricattarla; ed allora questa ha una innata paura del potere come di qualcosa che può castigare…Inoltre, altro elemento è quella prepotenza del potere che in Sicilia si chiama mafia, in Calabria ‘ndrangheta e in Campania camorra e che condiziona veramente la popolazione, e infine un ampio clientelismo”. Ad una mia domanda sull’impegno nella Chiesa, rispose: “in molti convegni che si vanno facendo ha molto successo tutto quello che riguarda la contemplazione, meno invece la ricerca sul territorio e sull’impegno politico: questo è un po’ preoccupante, perché se è bello vedere giovani che fanno contemplazione e preghiera e ‘deserto’, è però questo un aspetto parziale, perché non si può essere veri nella fede se non si cammina contemporaneamente verso Dio e verso il prossimo”, Inoltre “la Chiesa non può astrarsi dal mondo; bisogna perciò lavorare con grande comprensione di tutti, perché anche gli ‘altri’ anche se non credono, camminano e si troverà tantat gente che forse non crede, non va in chiesa, ma è presente nel mondo con la buona volontà e i principi sani che ha e noi non possiamo contrastarli. Per cui è vero che c’è una crisi sul piano economico soprattutto, ma quello che consola è che alla gente oggi certi valori si possono di nuovo prospettare”. Acerra nel 2015 gli conferì la cittadinanza onoraria. Riboldi è’ morto a Stresa il 10 dicembre 201
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