La manifestazione degli “Indignati”
I motivi della manifestazione.
Il 15 ottobre scorso si è svolta la manifestazione internazionale di dissenso contro le misure di austerità prese dagli Stati per azzerare il debito pubblico. Città come Roma, New York, Londra, Madrid, Berlino, Parigi, hanno visto un’ampia mobilitazione di cittadini protestare perché la crisi che sta attraversando il mondo viene fatta pagare soprattutto ai giovani,
con la precarietà e la disoccupazione, ed anche perché la disuguaglianza sociale aumenta sempre di più, a vantaggio di appena l’l % di cittadini contro i restanti 99%. I motivi di tale disuguaglianza sono individuati da questo movimento politico mondiale nel fatto che viene permessa un’attività incontrollata di finanza a beneficio di pochi ricchi speculatori, ma anche perché i debiti degli Stati vengono addossati essenzialmente sul ceto medio (anziché su chi si è arricchito) con i tagli allo stato sociale.
Così i vari Paesi per ridurre il proprio debito hanno deciso: 1) di tagliare sempre più la spesa pubblica (soldi per istruzione, ricerca, salute, trasporti, risanamento ambientale, lotta alle mafie e criminalità organizzata, pensioni ecc.) mettendo di fronte ai popoli una progressiva privatizzazione dei beni e servizi pubblici; 2) di operare la distruzione dei diritti dei cittadini acquisiti in decenni di lotte sindacali (si dovrà lavorare di più e sarà più facile licenziare nei luoghi di lavoro). In tutto il mondo, dunque, gli indignati si sono dati appuntamento per la prima volta via internet nelle diverse città, con la voglia di sentirsi liberi ed uguali, per dire essenzialmente questo: che ci troviamo ormai di fronte ad uno squilibrio tra un potere economico ormai globalizzato nel mondo dalle multinazionali ed un potere politico interno ai Paesi che appare inadeguato ad affrontare i problemi posti dai banchieri del Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale e Banca Centrale Europea. Quest’ultima, oggi, stima in 80 miliardi di euro la cifra che gli Stati europei debbono dare alle banche. E dunque questo movimento politico internazionale afferma che per supplire all’inadeguatezza delle politiche nazionali occorre preparare la strada alla formazione di una nuova organizzazione economico-sociale mondiale, più partecipata dal basso e quindi più democratica, che freni lo strapotere dei mercati finanziari, difenda i beni comuni e il diritto al lavoro, e riduca la disuguaglianza sociale.
Occorre, cioè, cambiare il modello di sviluppo esistente in uno eco-sostenibile, dove siano direttamente gli Stati a svolgere il compito di stampare carta moneta e venderla alle banche e non il contrario, come avviene oggi, non permettendo più che le banche si approprino della differenza tra il valore nominale della moneta ed il suo costo di produzione. Dunque, non serve soltanto indignarsi, ma ci si deve impegnare a rendere il capitalismo globale più equo. Forse il 15 ottobre 2011 si può chiamare la prima giornata internazionale dell’indignazione.
Cronaca della manifestazione.
Roma ha visto la partecipazione più ampia al mondo: 250 mila cittadini giunti da tutta Italia per sfilare da piazza della Repubblica dalle ore 14 sino alle 17, quando l’ultimo gruppo proveniente da Verona si è messo in fila, pur sapendo che il corteo si era ormai sfaldato lungo la strada per piazza S. Giovanni, a causa di un gruppo di violenti organizzati per oscurare le voci del dissenso in Italia. La grande manifestazione di Roma, così, si è trasformata nella manifestazione più violenta a livello internazionale. Gli Indignati italiani erano venuti in tantissimi a Roma per dire che le prime vittime della crisi sono i giovani, perché è stata fatta a pezzi la meritocrazia, soppiantata dallo sconsiderato favoritismo di parenti e amici di una casta di corrotti e di evasori. E non solo: erano venuti anche per dire basta con un governo che pensa soltanto a fare leggi per far uscire dai guai giudiziari i potenti delle cricche e delle cosche.
Motivi di dissenso in più, questi, rispetto a quelli espressi nelle altre città del mondo, di cui non è stata data informazione. Lo stavano a dimostrare le tante migliaia di cartelli e pupazzoni satirici in mano ai manifestanti. Li avevo guardati dalle ore 14 da piazza della Repubblica sino a via Cavour tutti quei cartelli in mano a gente dall’aria intelligente e festosa, desiderosa di esprimere la propria indignazione pacificamente. Specialmente a piazza S. Maria Maggiore la folla era immensa, tutti erano pigiati l’uno all’altro: non era stata così numerosa neanche la grandiosa manifestazione del “popolo viola“, né quella delle donne “se non ora quando?” a piazza del Popolo. Io avevo deciso di raggiungere la testa del corteo (per fare per “Controluce” il reportage completo dei gruppi politici che partecipavano) imboccando la parallela via Urbana ed aggirare così i manifestanti, ma sarà quello l’ultimo momento felice di quel pomeriggio di sabato. A via Urbana mi accorgo che tutti gli incroci stradali sono chiusi dai blindati della polizia per impedire che qualche malintenzionato si diriga a far danni verso i palazzi del potere. I poliziotti sono nervosissimi, nonostante non sia ancora accaduto nulla. Cammino velocemente diritta davanti a me guardando il blocchetto di appunti, dove ho annotato i gruppi che ho incontrato: Confederazione unitaria di base (CUB), Movimento Per il Bene Comune, Movimento AsiCubaUmbria, Comitato Scuola Pubblica-Coordinamento Studentesco Universitario. Quest’ultimo ha scritto sul suo volantino che «il debito pubblico non è causato dall’eccessiva spesa pubblica per il welfare, bensì dal capitale privato, dal momento che il governo ha sempre fornito mercato ad un gran numero di aziende private attraverso le grandi opere. Ad esempio la Fiat in 30 anni ha ricevuto circa 200 miliardi di euro dallo Stato. Ed ora la TAV costerà complessivamente circa 435 miliardi di euro. In altri casi lo Stato ha salvato le aziende trasferendo il debito privato sul debito pubblico, come è avvenuto, ad esempio, per l’Alitalia, che il governo ha venduto ai capitani dell’industria italiana, mettendo sulle spalle di chi paga le tasse il suo debito di 4 miliardi. Per tutti questi motivi il debito pubblico italiano è divenuto tra i più alti al mondo. Gli Stati, che hanno preso in prestito i soldi dalle banche e li debbono restituire con gli interessi, per non rischiare il fallimento (rischio default) ora approvano piani economici che prevedono sacrifici per i più deboli, anziché per chi ha ricevuto ricchezze».
Mi distoglie dalla lettura del volantino degli studenti il fragore dell’esplosione di due bombe carta. Qualcuno vicino a me viene avvertito, attraverso il suo cellulare, che dei black bloc si sono messi ad incendiare le macchine parcheggiate in via Cavour. Si capisce subito che si sta diffondendo il panico tra i manifestanti. Quando mi ritrovo intorno al Colosseo li vedo anch’io questi violenti all’opera. A gruppi di dieci circa si inseriscono nelle fila del corteo. Quasi tutti portano zaini neri e giacconi neri, su blue jeans o pantaloni neri. All’improvviso tirano fuori dagli zaini i cappucci neri e li indossano. Poi estraggono mazze. È evidente che intendono fare danni senza essere riconosciuti. Prima di coprirsi il volto vedo la loro espressione divertita, sicuri di godere dell’impunità per i danni che stanno per fare. La gente spaventata esce dal corteo per andare via, ma non senza gridare la propria disapprovazione e rabbia: «Fascisti, berluscones, siete stati pagati, vero? Siete contro di noi!». E loro rispondono con gesti osceni. Sento il loro disprezzo verso tutto il movimento degli indignati. Mi chiedo perché i poliziotti non intervengono arrestando quanti stanno nella manifestazione con il volto coperto, cosa vietata dall’articolo 5 della legge Reale ancora in vigore. Ma le strade del percorso sono sguarnite di poliziotti, ed i violenti sono liberi di entrare ed uscire dal corteo facendo incursioni contro macchine, cassonetti, negozi, chiese e blindati di carabinieri e polizia. Qualcuno dei manifestanti cerca di fermare i teppisti nella loro opera devastatrice anche picchiandoli. Io cerco di mettermi al riparo. Poi a via Labicana vedo la filiale della Manpower completamente distrutta al suo interno e davanti a me alzarsi un fumo nero denso, e ancora vedo le fiamme salire sino al secondo piano di un edificio: si tratta di una vecchia caserma, dice qualcuno. Seguono le cariche della polizia che fanno correre i manifestanti nella direzione opposta. E fuggo, vedendo negli altri la mia stessa delusione e paura. A piazza S. Giovanni dei 250mila manifestanti, come si saprà, ne arriveranno pochissimi, di questi solo alcuni si faranno coinvolgere dalla furia dei violenti organizzati che, tra l’altro, non assomigliano affatto a dei disperati arrabbiati o indignati. Direi invece che sembrano molto vicini alla parte più reazionaria della politica: quella che non vuole cambiare nulla del potere consolidato del sistema delle cricche e delle caste, anche a costo di distruggere completamente le conquiste civili e democratiche di questi anni. Sto precisamente parlando di quanti si sono dedicati alle grandi evasioni, alla falsificazione di bilanci e ad arraffare appalti truccati, sempre senza gara. Gente, cioè, che disprezza la legalità e che chiama libertà la propria avidità di denaro.
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