“La Magnifica” di Arnaldo Colasanti nella recensione di Natale Sciara
Per un critico letterario accettare la sfida di cimentarsi nel genere romanzo è cosa ardua, è un fatto etico, ma Arnaldo Colasanti l’ha accettata. Con i romanzi pubblicati finora egli ha rappresentato il suo mondo, ciò che conosce meglio, e mi pare che ci sia riuscito bene offrendoci tre libri intensi di riflessioni oltre che sulla letteratura anche sulla vita in generale e sulla nostra società.
Il suo lavoro dal titolo La Magnifica, Fazi Editore 2017, è un libro che sembra essere scritto con impatto, uno sfogo che vuole essere l’esame di coscienza di un uomo di lettere, un intellettuale impegnato nel campo della cultura che nel far amare considerazioni riguardo il mondo delle scuole e dei libri riflette sulla natura umana e sull’esistenza. Da queste pagine traspare un senso di vuoto ed inappagamento, di delusione e di deriva.
È un fiume in piena Arnaldo nel rappresentare tipi umani con le loro debolezze, i loro desideri, ed il proprio modo di essere, ad iniziare da Piero il personaggio principale del romanzo.
La vicenda che racconta il nostro si svolge all’aeroporto di Fiumicino in attesa di un viaggio premio (La magnifica) per narratori e critici, e nell’attesa della partenza l’autore divaga e ricorda in un intreccio narrativo di grande presa sul lettore. È la metafora del viaggio della vita che viene evocata, un viaggio premio che permette all’autore di fare considerazioni varie sugli esseri umani e sul viverci. Ed è il Colasanti che conosciamo impegnato in prima linea con la sua preparazione e serietà derivate da una passione- vocazione allo studio autentico. E potremmo dire che ” La Magnifica” è il libro di un bilancio professionale che registra la crisi della nostra società che sembra aver perso l’orientamento.
È spietato Arnaldo Colasanti nel tratteggiare atteggiamenti e comportamenti, nel fare la radiografia di una nazione che è andata cambiando profondamente negli ultimi decenni. È l’Italia del benessere, del successo, della spettacolarizzazione, del protagonismo e della cultura di massa, come pure quella che ha perso molti tabù e che è diventata disinibita e spregiudicata.
È l’uomo Colasanti attento osservatore del costume che registra tutto ciò che crede intorno a lui e rappresenta profili di persone ed atteggiamenti e lo fa con il gusto della parola e dell’espressione colorita facendo sfoggio di un linguaggio ricco di similitudini e metafore.
È lo scrittore in tutta la sua umanità che si mette a nudo senza falsi pudori ed ipocrisie, cercando almeno nella verità del dire, della confessione intima, un senso da dare al vivere con le sue degenerazioni e i suoi tarli.
Queste pagine contengono un’interrogazione ultima sulla vita nella sua similitudine. È una invocazione che si fa preghiera di fronte alla vacuità del vivere, al mistero dell’essere e del destino che a ognuno tocca nel suo modo di essere.
Nei precedenti romanzi avvertiva già il sentore di un disagio esistenziale, di uno sconforto, di un certo malessere nei confronti del reale. C’è una crudezza insolita in questo libro che si traduce in desiderio di verità intorno agli esseri umani. E lo definirei il testamento di un uomo di studio, per tanti versi, un Colasanti inedito che sorprende un po’ almeno per come lo conosciamo, da tanti anni, nella veste di critico militante e dei suoi precedenti lavori pur potendo immaginare in lui l’uomo vissuto e disincantato. Anzi nei precedenti due romanzi l’autore si lasciava andare al sentimentalismo e non era duro e inesorabile come in questa occasione.
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