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La lunga oasi

Agosto 23
11:05 2012

Mi chiamo Neferkheperura Waenra Amenhotep.

Dopo trentasette anni di esilio, torno alla mia Tebe, favolosa città dalle cento
porte, capitale dell’alto e del basso Egitto.

Finalmente sono riuscito ad uccidere il mio nemico, Thutmosis.

Lui mi aveva condannato all’esilio.

Lo ucciso con un micidiale veleno e poi ho arso il suo cadavere, disperdendone le
ceneri ai quattro venti.

L’ira di Amon è placata!

Però, le parole non possono lo stesso compensare i baci perduti e il rimpianto delle
scelte sbagliate.
Questa una sensazione con cui ho imparato a convivere.

Stavo provando le stesse sensazioni che prova un’anima quando si stacca dal proprio
corpo, vedendo la sofferenza dei propri cari senza poter fare nulla per consolarli,
quando ho incontrato lei, sulla strada per Tebe.

Lei, Maatkara Hatshepsut, figlia di Anekh-Sheshong.

Lei, Maatkara Hatshepsut, devota ad Iside. Iside, la dea Fortuna.

Immediatamente ho ringraziato con una preghiera Aton, il disco solare.

“Servi il tuo dio, che egli possa proteggerti.”

Del resto, accade a volte che i Numi annoiati -non c’è granché da fare sull’Olimpo,
nettare e ambrosia a parte- intervengano nelle faccende spicciole dei mortali, vuoi
per favorirli, vuoi per avversarli.

Non c’è bisogno di dire che, nel mio caso, il cielo si è mosso in mio sostegno,
inviando sulla terra Maatkara, dea celestiale con il suo fascino sfolgorante.

Non male, ho subito pensato, convincendomi che la Dea Fortuna non era ancora
risoluta ad abbandonarmi.

“Servi i tuoi fratelli, che tu possa avere buona reputazione.”

Lo confesso, c’è voluto un nano secondo prima che mi innamorassi della dolce Maatkara.
Del resto é una ninfa, una dea.

Bastet, la Dea Gatto.

Ed io un semplice scriba.

Un racconta fiabe.

“Servi un uomo saggio, che egli possa servire te.”

Nella mano destra tengo un calamo appuntito.

Nella sinistra un rotolo di papiro.

E nel cuore, tengo lei.

Pensare a lei mi fa scorrere il sangue nelle vene come se avessi mandato giù tutto
d’un fiato un intero calice di shedu.

Ho sognato di cavalcare con lei nel deserto.

Cavalcare nel deserto, che idea bizzarra! mi dico, ma non posso impedirmi di
immaginare i suoi splendidi capelli volare sciolti al vento, le sue gambe nude
strette al ventre dell’animale, le sue natiche che si alzano ritmicamente, il suo
sorriso mentre si volta a guardarlo.

E le dune, e il tuo corpo flessibile inarcato sulla sabbia della lunga oasi.

E il suo seno schiacciato sotto il mio peso, e le sue unghie appuntite sulla mia
schiena e il grido roco delle sue belle labbra, perso come un’eco nella notte
silenziosa.

“Servi colui che ti serve.”

Basta! Mi impongo.

Devo por fine alle suggestioni, per quanto fascinose, e badare al sodo, pena il
naufragare in un mare di fantasie troppo fervide ed esuberanti.

Vabbé, lo ammetto: da quel momento non faccio che correre a perdifiato verso il suo
profumo.

Verso i suoi occhi, irresistibile invito all’amore.

“Servi ogni uomo, che tu possa averne profitto.”

A volte mi sembra di sentire delle voci perplesse sussurrarmi “Ti costerà parecchio
questo amore, più ansia che gioia”.

“Via, sciò, levatevi dai piedi, menagrami. Non mi impauriscono le vostre macumbe,
incantesimi e strani rituali. Pagherò fino all’ultima dracma, per difendere il mio
amore!”

Del resto come potrei cercare amori altrove, dopo aver conosciuto lei la regina del
mondo?

“Servi tuo padre e tua madre, che tu possa procedere e prosperare.”

Ma cosa ho fatto per farla innamorare di me?

Semplice: le ho fatto bere una pozione magia.

Gli ingredienti?

Questi: Malemonio, dauco, rosa canina, gelotiphyllis,. Basilico, veleno d’aspide,
giusquiamo, acconito, sangue secco di impiccato.

Assenzio, meconio, semi di belladonna. Grani di terra in cui è stato sepolto un
parricida, lingua essiccata di lucertola, olio essudato da una mummia reale….e una
buona dose di oppio è indispensabile! Betonica, lisimachia, issopo del monte
Soratte.

“Esamina ogni cosa, che tu possa comprenderla. Sii gentile e paziente, e il tuo
cuore sarà bello.”

Passeggio con lei sulla riva del Nilo, a destra della lunga oasi.

Lei ha sul corpo numerosi amuleti.

In particolare, sotto la testa, ha un amuleto che reca la riproduzione del dio Osiride.

Baciandola intensamente, le canto una lirica d’amore: “Tu, Maatkara Hatshepsut. che
splendi di perfezione, con gli occhi belli quando guardano, con le labbra dolci
quando parlano, per la quale non c’è discorso superfluo; tu, che lungo hai il collo,
il petto luminoso, con una chioma di vero lapislazzuli, le tue braccia superano lo
splendore dell’oro, le tue dita sono come calici di loto; tu, che hai languide le
reni, strette le anche, le tue gambe difendono la bellezza, il tuo passo è pieno di
nobiltà quando posi i piedini sul suolo, con il tuo abbraccio mi prendi il cuore.”

Maatkara, mia dea.

Maatkara, l’unica, l’amata.

Maatkara, la senza pari, la più bella di tutte.

Maatkara, guardandoti sei come la stella fulgente all’inizio di una bella annata.

Maatkara, possiedi i venti nell’isola della gioia.

Maatkara, detieni il remo del comando della barca del mio cuore.

Maatkara, con te realizzerò il sogno dell’immortalità.

Maatkara, l’amore che ho per te è diffuso nel mio corpo come il sale si scioglie
nell’acqua, come il frutto della mandragola si impregna di profumo, come l’acqua si
mescola al vino!

Maatkara, io sono il tuo amato, sono tuo come il pezzo di terra che ho seminato di
fiori per te.

Maatkara, il mio corpo è felice, è in gioia il mio cuore per il nostro camminare
insieme.

Maatkara, è dolce come mosto udir la tua voce, vivo quando la odo, se ti vedo è
meglio ogni tuo sguardo per me che mangiare e che bere!

“Fluisce per me un’ora dall’eternità, da quando giaccio con te”

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