La lingua ‘verde’
Nel mondo esperantista il 26 luglio è una delle data molto importante, poiché nello stesso giorno del 1887 il polacco Zamenhof presentava al mondo la sua lingua con lo pseudonimo di “Dottor Esperanto”. L’Esperanto è stato pensato come “un fondamento neutrale sul quale i diversi gruppi umani possano pacificamente e fraternamente mettersi in comunicazione”. Zamenhof, giudicando il latino ed il greco inadatti per la vita moderna, escluse l’utilizzo di un idioma nazionale in ambito internazionale, orientandosi piuttosto verso la pianificazione di una lingua ‘neutrale’. Una lingua etnica, infatti, è espressione di una cultura ben precisa ed è custode di numerose irregolarità ed espressioni idiomatiche di difficile apprendimento. L’Esperanto è stato proposto, quindi, come una seconda lingua, semplice ed esente da irregolarità, per tutti, tale da non creare una casta di privilegiati che impongono una loro madrelingua. L’Esperanto da subito destò l’interesse di studiosi ed appassionati, tra i quali Jules Verne, presidente onorario del gruppo esperantista di Amiens, che nel 1903 intraprese la stesura di un libro – rimasto incompiuto a causa della sua improvvisa morte – Vojage d’étude, in cui il romanziere francese valutò l’esperanto come «il più sicuro, il più valido veicolo della civilizzazione».
Nel secondo dopoguerra, venuta meno la minaccia del nazismo, il movimento esperantista è tornato ad organizzarsi con maggiore efficacia, ottenendo importanti riconoscimenti a livello internazionale quali ad esempio le risoluzioni Unesco di Montevideo (1954) e Sofia (1985).
L’Esperanto oggi è una lingua viva e forte di una cultura fatta di musica e letteratura originale e tradotta. Anche in Italia l’interesse per la lingua ‘verde’ (il colore dell’Esperanto) è forte.
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