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    LA LEGGE REGIONALE SUI DIALETTI DEL LAZIO. POTRA’ DARE I SUOI FRUTTI?   

    LA LEGGE REGIONALE SUI DIALETTI DEL LAZIO. POTRA’ DARE I SUOI FRUTTI?   
Aprile 16
08:44 2024

Il Consiglio regionale del Lazio ha approvato il 10 aprile 2024 una legge per la tutela dei dialetti con una dotazione finanziaria di 600 mila euro per un periodo di tre anni.

L’obiettivo è la promozione di interventi quali studi e ricerche sui dialetti locali; progetti e sussidi didattici nelle scuole; manifestazioni, spettacoli e altre produzioni artistiche; iniziative editoriali, discografiche, televisive e multimediali; seminari, convegni e corsi di aggiornamento; un archivio documentale multimediale; altre attività.

Il dialetto è una ricchezza straordinaria da preservare e da trasmettere alle future generazioni, è parte integrante dell’identità culturale di una comunità e di un territorio, e dunque la legge va accolta con favore.

L’iniziativa è commendevole ma rischia di non raggiungere l’obiettivo prefissato.

Il dispositivo legislativo parla di “dialetti riconosciuti”. La definizione giuridica di un dialetto è scientificamente improponibile: il dialetto è una costruzione culturale, dinamica, soggetta alle molteplici definizioni che i singoli studiosi propongono alla comunità scientifica. Insomma, attribuire la “patente” di dialetto laziale appare giuridicamente infondata e foriera di un possibile contenzioso da parte di comunità locali che possono ritenere che la propria “parlata”, esclusa dal “registro per i dialetti del Lazio riconosciuti”, ha dignità di dialetto e dunque è meritevole del finanziamento regionale.

La legge istituisce, presso l’assessorato regionale competente in materia, il Comitato per i dialetti con funzioni propositive e consultive. Il Comitato è presieduto dall’Assessore regionale competente in materia, o suo delegato, ed è composto da sei membri scelti, previo avviso pubblico, dal Presidente della Regione tra esperti dei dialetti di ciascun ambito provinciale, di comprovata competenza nella storia e nella cultura dei dialetti del Lazio. Il Presidente della Regione è una figura politica e quindi non può autonomamente identificare gli esperti da nominare nel Comitato; la legge avrebbe dovuto prevedere, come analoghe leggi nazionali, la costituzione di un apposito comitato di selezione con il compito di proporre al Presidente della Regione una rosa di nomi tra cui scegliere (questa è la procedura seguita dal ministero dell’Università e della Ricerca per la nomina dei presidenti degli enti di ricerca e dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema del sistema universitario e della ricerca).

La legge specifica: “L’istituzione del Comitato per i dialetti non comporta oneri a carico del bilancio regionale e la partecipazione al Comitato è a titolo gratuito; pertanto, non è prevista la corresponsione di emolumenti, compensi, indennità o rimborsi di spese comunque denominati.” Questo passaggio della legge è fondamentale. I membri del Comitato scientifico non soltanto non riceveranno alcun compenso per il lavoro svolto, ma nemmeno il rimborso delle spese. Ma chi sarà disponibile a studiare, scrivere testi, spostarsi dalle cinque province per partecipare alle riunioni alla Pisana, a queste condizioni? Di più. La Regione non avrà alcun titolo per pretendere, in assenza di quello che i giuristi chiamano sinallagma (do ut des), che gli illustri linguisti svolgano il delicato lavoro ad essi assegnato.

Si osserva che i consiglieri regionali, il cui prezioso lavoro è ricompensato con una sostanziosa indennità di carica e con i rimborsi spese, negano ai membri del Comitato, chiamati a svolgere un compito altrettanto importante, la giusta mercede (rimanendo nel campo dei dialetti, chi si trova nella condizione dei consiglieri regionali di cui sopra viene designato nel dialetto albanense con una colorita e un po’ greve espressione – cfr. il Vocabolario del dialetto albanense, pag.88).

Essendo queste le regole, ci si deve chiedere per quale motivo un rispettabile linguista debba utilizzare la propria professionalità e il proprio tempo per contribuire gratuitamente, anzi rimettendoci, al progetto della Regione. Un motivo potrebbe essere l’amore per il dialetto e l’interesse scientifico. Un altro una recondita spinta narcisistica e il desiderio di “contare” nell’agone politico-amministrativo (“ho un incarico alla Regione”). La motivazione può essere però più mondana: andare alla Regione per perseguire interessi personali o di altro tipo (portare risorse alla propria organizzazione o al proprio Comune), tenendo conto che la missione del Comitato è, più prosaicamente, la distribuzione dei fondi regionali.

E’ verosimile dunque che il Comitato non potrà mettere in campo i migliori talenti, non avrà la necessaria autorevolezza e indipendenza, avrà difficoltà ad operare al meglio, e si esporrà a critiche circa la destinazione delle risorse.

Insomma, ottimo l’intento, ma inadatto lo strumento per conseguirlo. Se quanto riportato sopra ha un fondamento, ci si può chiedere se i consiglieri regionali, che hanno approvato all’unanimità un dispositivo legislativo di così mediocre conio, lo abbiano davvero letto e ne abbiano valutato la capacità di conseguire l’obiettivo prefissato.

P.S. Ma vale la pena far parte di questi comitati? Di seguito viene riportata una vicenda, vera, di alcuni anni fa. Uno stimato professionista viene richiesto dal sindaco del suo Comune di svolgere un compito per cui le strutture comunali non hanno le competenze richieste. Il professionista dichiara che lavorerà gratuitamente per il bene della comunità e riceve l’incarico che svolge con piena soddisfazione del Comune e dei cittadini. Nel coté politico-sociale si formano due scuole di pensiero. Gli aderenti alla prima sono concordi nel ritenere che non è vero che il professionista ha lavorato gratuitamente (c’è sempre un interesse, recondito ma reale!): il professionista è stato sicuramente pagato e quindi quando sostiene che ha lavorato gratis è un imbroglione. Gli esponenti della seconda scuola di pensiero non hanno dubbi sul fatto che il professionista abbia lavorato gratis, ma concordano nel sostenere che è un fesso, si doveva far pagare. Su questa storia potrebbero riflettere i candidati a svolgere la funzione di membro del Comitato per i dialetti della Regione Lazio.

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