La Lamina Veliterna
Deve Declune, divinità sconosciuta? Chi era? Non risulta che fosse venerata in Velletri. Eppure il nome è inciso sopra un’esile lamina di bronzo a testimoniare che nella ribelle città dei Volsci non predominava soltanto una possente divinità guerriera come Marte.
Era una divinità dolce e benefica. La Luna Calante: la parte materna della trinità più antica, venerata nella vicenda umana. In questa figura poteva rappresentare l’accogliente grembo femminile, mentre nella sua pienezza era l’aspetto della potente padrona della natura.
Però, nella figura di luna crescente, celava l’insidia dell’arco teso a scagliare le frecce distruttive della peste, per sterminare i popoli ribelli o, quanto meno, poco ossequiosi al suo nume. La Luna, dea potente che regolava le vicende sociali, ma anche segno e misura del ciclo femminile, fonte della vita.
Un antico documento volsco
La lamina intitolata alla dea Decluna apparve durante gli scavi del 1784, presso la chiesa delle Stimmate di San Francesco. Il suo ritrovamento ebbe una grande risonanza presso gli studiosi del tempo, poiché si trattava di uno dei pochissimi documenti in lingua volsca che attestava la reale attività di questo popolo nell’ambito veliterno. Da qui si ricavano poche notizie, dedotte da una parlata che risente ormai della dominazione romana, la quale ha imposto perfino il proprio alfabeto. Infatti la tabula presenta un testo in lingua volsca, ma scritto con alfabeto latino, e questo dato probabilmente la fa risalire circa al iii secolo a.C., quando Velletri risulta municipio del tutto incorporato nel costume e nella politica di Roma, ormai dominatrice di tutto il Lazio.
Si tratta di un documento da riportare nell’ambito delle ‘leggi sacre’, cioè di quegli orientamenti civili che presupponevano un rapporto della popolazione con la divinità, per una forma di purificazione e per allontanare sventure gravi incombenti. C’è un termine che fa pensare a una calamità: Atahus che, in un recente tentativo di traduzione, sembra riportarsi alla parola latina Attactus. cioè ‘toccato dalla dea’, quindi infetto, contaminato. Era il terrifico vocabolo che indicava la peste.
L’origine delle pestilenze
Ce ne furono tante, di epidemie di peste a Velletri antica. Ogni volta la città ne usciva devastata, tanto che Roma si impegnava a mandare coloni a gruppi nutriti per ripopolarla. La lamina, nel suo scarno linguaggio giuridico-sacrale, ne descrive e ne ordina le procedure risanatrici.
La radice stessa del male, secondo le convinzioni religiose dei popoli antichi, imponeva una punizione. Qualcuno, o qualche gruppo sociale, aveva commesso una violazione, una violenza sacrilega, ed ecco la punizione: la dea, nel suo aspetto di luna crescente, ha scagliato il male con le sue frecce. Non c’è rimedio umano, occorre urgentemente cercare un perdono. Ma non dalla divinità nel suo aspetto guerresco, di arciera. È necessario rivolgersi a lei quando è ‘Declune’, cioè quando appassisce nella dolcezza del parto, e diviene la madre clemente del popolo, anche se l’ha offesa.
Prescrizioni per la purificazione
La lamina riporta una procedura di purificazione in forma giuridica. I due magistrati supremi di Velletri – Egnazio, figlio di Sepio Cosuties, e Marco, figlio di Gaio Tafanies – prescrivono ciò che si deve fare per recuperare il rapporto interrotto con la dea. Essi sono quindi dotati di autorità politica e sacrale, nello stile delle forme religiose di tipo romano, dove culto e vita politica si intrecciano fortemente fino a identificarsi tra loro. Occorreva fare un ‘lettisternio’, cioè una processione, durante la quale si portava solennemente un simulacro della dea sdraiata sopra un letto fastosamente addobbato. Oggi le immagini dei santi si trasportano diritte, ma la forma processionale è rimasta quasi invariata da allora. Duemila anni e tre secoli hanno percorso la storia di Velletri, ma la forza delle tradizioni è passata da una religione all’altra. Sono variati, anche profondamente, i contenuti, ma le forme sociali sono rimaste le stesse.
Un’altra prescrizione riportata sulla lamina riguarda la spartizione dell’offerta purificatrice ‘Toticu Covehriu‘, cioè con tutto il popolo riunito in preghiera: forma sacrale non molto differente da quella attuale, che sottolinea quanto sia necessaria davanti alla divinità la capacità di unione del popolo.
La Lamina Veliterna ha avuto recentemente una nuova ipotesi di traduzione, a partire dalle lente ma implacabili trasformazioni della lingua osca verso le forme latine imposte da Roma, imperante non solo nel territorio, ma anche nel costume.
L’opuscolo Discorso intorno a la Lamina Volsca e ipotesi di traduzione è stato pubblicato dalle Edizioni Scorpius nel 2014, con prefazione di Roberto Zaccagnini.
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