La guerra incessante fra i generi
Sarebbe auspicabile che gli scontri che si vanno consumando tra gli universi maschile e femminile non diventassero una guerra feroce senza esclusione di colpi così come pare stia accadendo.
I maltrattamenti familiari, in Italia, si sono tramutati in parte in omicidi che tolgono di mezzo una volta per tutte il coniuge da distruggere, di solito una donna. Anche coloro che perpetrano il crimine, però, in molti casi finiscono col togliersi la vita. Per questo motivo non si dovrebbe parlare di ‘femminicidio’ (la considero un’orribile parola pur conoscendone la tragica origine) ma di omicidi familiari nei quali non ci sono né vincitori né vinti né, spesso, sopravvissuti. Circostanze che già escludono la battaglia per qualcosa ma denunciano un estremo malessere della istituzione famiglia anche se, a ben vedere, ragionando per crudeli statistiche, un fenomeno da alcune decine di delitti non fa fare una piega alle istituzioni e, a fronte di queste tragedie, la famiglia pare continui a rappresentare l’unico ‘rifugio’ possibile per l’individuo. Chi sopravvive alle stragi familiari, l’omicida o i figli, pur mantenendo le loro funzioni vitali si trovano a dover scavalcare in qualche modo la linea mortifera dell’essere ‘morti dentro’ (alcuni assassini, oltre la moglie hanno eliminato i figli ‘assassinando’ così anche una parte di se stessi). Eppure la società civile deve poter continuare a chiamare questi omicidi persone: persone da ricostruire dalle fondamenta.
Oltre questo genere di delitti che hanno per sfondo, almeno all’apparenza, motivazioni sessuali, gelosie, tradimenti, accadono altre stragi familiari legate alle ingiustizie nelle divisioni patrimoniali spesso avvertite come tali proprio perchè perpetrate tra consanguinei. Si uccide il padre, i fratelli, la madre, i cognati, gli zii, per l’attribuzione ‘ingiusta’ di pochi metri di terreno o di un modesto immobile, come d’una villa storica, magari in decadenza (il caso di due fratelli nel quale uno dei due ha ucciso l’altro investendolo con l’auto). Eppure, interrogando a freddo molte persone su ipotetici casi, si scopre che nel nostro immaginario le ingiustizie per pochi metri di terra o per una eredità (beni non trasportabili nell’aldilà o indesiderati dagli eredi perchè coperti di storie di divisioni fameliche e orrore) se non sono viste proprio come offese da lavare col sangue, valgono comunque di più dell’affetto dei propri cari e possono diventare motivo, come minimo, per non guardare più in faccia vita natural durante i familiari.
Ora, come tassello finale, ma non definitivo crediamo, arrivano le vendette femminili: sul tale o tale altro per colpa dell’abuso di potere del quale non abbiamo potuto fare carriera come volevamo, o semplicemente avere un lavoro, piove la denuncia di abuso sessuale. Al netto delle cronache esagerate e del gossip, alcune decine o centinaia di casi risulteranno reali e si cercherà di punire il colpevole secondo quanto consente la legge, mentre molti altri si presentano già all’avvio con l’aspetto della vendetta tardiva e mal posta. Tutti elementi da ponderare oltre all’analisi doverosa verso ciascun caso e tutti: perchè il sentire della vittima di abuso non è meno importante del sentire dell’aggressore che qualche volta dichiara di aver ‘confuso’ l’allungare una mano sotto la gonna per una carezza affettuosa o la proposta sessuale sboccata ad una donna già impegnata per una avance galante (notare il francesismo ingentilente).
Tutti questi aspetti nel loro insieme, ben diversi e distanti, a volte mescolati, prospettano una nuova (o mai finita) e duratura guerra fra i sessi e, col dovuto rispetto per le tragedie e le quotidiane miserie umane, allontanano sempre di più un orizzonte civile nel quale inscrivere discussioni costruttive sulla crescita delle persone, i civili rapporti familiari e il diritto di famiglia che si compone ‘anche’ di beni ed eredità o il giusto affermarsi professionale delle donne accanto (non contro) gli uomini e viceversa. (Serena Grizi) – (immagine da South Park)
analisi ineccepibile,non si sfugge.