La guerra del coltan
In molti paesi del continente africano come il Congo, la Costa d’Avorio e lo Zimbabwe, i conflitti e le guerre interne sono strettamente connessi alla ricchezza di risorse quali minerali, terra, acqua e petrolio, beni che divengono oggetto della contesa e del commercio illegale che permette l’acquisto di armi.
In particolare la Repubblica Democratica del Congo è un paese in cui abbondano risorse naturali preziose come oro, diamanti, coltan, cobalto, rame, piombo, legname, etc. A partire dal 2000 la richiesta di coltan è aumentata spaventosamente per via della domanda di Play-station e telefoni cellulari e smartphone. Questo minerale ha l’aspetto di una sabbia nera, si trova all’interno di rocce e pietre ed è composto dai minerali colombite e tantalite. Il tantalio è un metallo raro, con un’alta conduttività elettrica e termica, molto duro e resistente alla corrosione che viene estratto direttamente dal coltan e che costituisce l’elemento fondamentale nel campo dell’elettronica e delle telecomunicazioni, si trova infatti anche nelle batterie dei nostri cellulari. Da questo paese arriva di tutto, tanto che si può parlare non solo di diamanti insanguinati ma anche di coltan insanguinato e di legname di frodo.
La guerra civile che flagella la RD del Congo non è altro che il risultato della caccia alle risorse, prima ai diamanti e poi al coltan, imperniata sul controllo dei giacimenti. Le popolazioni locali continuano a patire la povertà e la violenza mentre chi controlla queste risorse, grandi multinazionali ed élite politiche si accaparrano tutti i profitti provenienti sia dai conflitti sia dal mercato illegale di minerali che permette alle società multinazionali di acquistare i minerali al 70% in meno rispetto al loro valore di mercato.
Le principali vittime dello sfruttamento sono gli scavatori artigianali, spesso schiavizzati, che lavorano in condizioni precarie e a rischio di vita e su cui speculano i funzionari governativi, le forze di sicurezza e infine le grandi società che corrispondono cifre irrisorie per i minerali estratti e che trascurano completamente la loro formazione e sicurezza sul lavoro, nonché i loro diritti e la loro dignità. Migliaia sono bambini, molti sottratti con la forza alle loro famiglie, considerati preziosi perché riescono ad infilarsi nei passaggi più angusti, nei quali frequentemente, a causa dei crolli e delle frane, muoiono o restano invalidi mentre quelli più robusti vengono utilizzati per trasportare il coltan nella zona di carico, incontrando la morte per stenti o a causa di incidenti lungo la strada. Il guadagno giornaliero è di circa 3 dollari per 15 ore di lavoro, senza alcun contratto regolare e in piena inosservanza dei più elementari Diritti Umani e delle legislazioni in vigore nel Paese, come le convenzioni dell’Organizzazione del Lavoro e il Codice del Lavoro del 2002.
Oggi in Congo le principali miniere sono sotto il controllo di alcuni gruppi e sono presidiate da uomini armati ma centinaia di piccole miniere sono ancora oggetto di contesa e morte. Tra i molti aspetti inquietanti di questa vicenda, come l’inquinamento dei corsi d’acqua, l’erosione del suolo e la distruzione dell’ambiente, il peggiore è sicuramente la collusione delle grandi multinazionali con i capi delle milizie e i gruppi armati (come The Democratic Forces for the Liberation of Rwanda o il Lord’s Resistence Army), un’intesa che incrementa un mercato nero in cui il coltan viene barattato con le armi che massacrano ogni giorno la popolazione civile, 5 milioni di vittime nella sola RD del Congo nell’ultimo decennio.
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