La guerra dei nonni
1915-1918. Storie di uomini, donne, famiglie è il sottotitolo del libro di Aldo Cazzullo La guerra dei nostri nonni, edito dalla Mondadori. Un’opera che in poco meno di 250 pagine ci cala negli abissi della tragedia della Grande Guerra, quella dei nostri nonni, combattuta in trincea, sull’Isonzo, nel Carso con baionette e cannoni.
Guerra che ha visto milioni di giovani morti, feriti, resi invalidi, costretti a gettarsi all’attacco in un’inutile carneficina, annebbiati dall’alcol che erano costretti a bere prima degli assalti, considerati povera carne da macello. E chi rifiutava di obbedire veniva fucilato o impiccato seduta stante, esempio per gli altri a scoraggiare ammutinamenti e proteste. Storie di madri, padri, famiglie che impazzivano alla notizia della morte di un figlio, un marito; soldati che tornati a casa trovavano l’orrore di un lutto senza fine, campi e case distrutte, famiglie decimate.
Un lavoro di ricerca che l’autore ha documentato con materiale raccolto nel Museo storico di Trento e nel Museo della Guerra di Rovereto, con articoli di giornali d’epoca e testimonianze tramite Facebook: tra queste, quella di Arrigo Crisanti di Frascati, narrata dal figlio Giulio, che pare accomunare nella sua esperienza i nostri giovani castellani andati in guerra. Classe 1895, arruolato nel Battaglione Aeronautico, rischiò con tutta la sua squadriglia di essere fucilato per una missione non compiuta: rinunciarono, quei soldati, a sganciare le bombe su un edificio considerato strategico a Gorizia, perché in quel momento stavano uscendo dalla scuola un centinaio di bambine. Per punizione tutta la squadriglia venne spedita in Tripolitania e in Cirenaica.
Commuove la lettura del libro, monta la rabbia contro i ‘signori della guerra’, sempre gli stessi nonostante gli eventi bellici si spostino e trascorrano gli anni. Orrore per gli stupri e commossa pietà per gli ‘orfani dei vivi’, bimbi nati dalla violenza e abbandonati negli orfanotrofi, dove di nascosto le mamme andavano a trovarli, prolungando dolore, sofferenza e distacco. Sono sempre i poveracci, gli innocenti ad andarci di mezzo: gente che in trincea cerca persino di familiarizzare con il nemico che considera persone costrette a impugnare un’arma loro malgrado. Tant’è che un povero soldato legato per punizione a un palo fuori dalla trincea, e costretto a restarvi per diverse ore, non verrà colpito dal fuoco nemico, solidale con quel povero cristo del quale condividono la sorte, seppure nel fronte opposto. Lettere, diari, testimonianze raccolte e riportate conservando incertezze ortografiche e grammaticali, e lemmi dialettali, commuovono il lettore che si immedesima nel dramma che ha accomunato in quegli anni una generazione di giovani ai quali sono stati sottratti sogni, progetti e speranze di vita. Solo la poesia pare elevare l’anima, pur nell’abbruttimento della violenza bellica. Non fu dunque per tema / S’io non ti uccisi: fu per non morire! / Per non morire in te: m’eri gemello (Fausto Maria Martini).
Cessate di uccidere i morti / non gridate più, non gridate / se li volete ancora udire… / Hanno l’impercettibile sussurro / non fanno più rumore / del crescer dell’erba, / lieta dove non passa l’uomo (Giuseppe Ungaretti).
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