La Grecia scoperchia le ipocrisie dell’Unione Europea
Difficile, ora, dar completamente torto a chi paragona l’Europa a un grosso e caracollante Bateau ivre, il celebre vascello ubriaco di Rimbaud. Priva di una propria politica estera, con i forti venti di guerra ai suoi confini, una pesante crisi economica e sociale che si protrae senza soluzione di continuità da più di sette anni, e con la Grecia sull’orlo del collasso umanitario, tutto ciò sembra avvalorare l’impietoso raffronto.
E le contraddizioni, le complicità, le ipocrisie nella gestione, disastrosa, del governo dell’Unione vengono paradossalmente scoperchiate proprio dal nuovo esecutivo di Atene, giudicato nientemeno che «pericoloso» dall’impagabile Presidente dell’europarlamento, il socialista Martin Schulz.
È venuta a galla, in soli due mesi, la reale frattura tra un’Europa del Nord e una del Sud, e chi comanda effettivamente a Bruxelles. Non poteva essere che così. Le frasi sprezzanti, i discutibili sfottò, i luoghi comuni indirizzati ai greci, «pigri» e «scansafatiche», piovono in modo equanime un po’ da tutte le parti, anche da importanti media italiani. Ma chi sta realmente masticando amaro, dal 25 gennaio scorso, è più di tutti la Germania, che si trova costretta dalle circostanze a giocare a carte scoperte, sentendosi come sempre in dovere di ricordare a tutti, con le usuali forme velenose e sgradevoli che la contraddistinguono, che i debiti, come le colpe, si pagano sempre. Convogliando però in tal modo su di sé attenzioni e rilievi di cui, se potesse, farebbe volentieri a meno.
Un recente studio della London School of Economics ha dimostrato che grazie alla crisi greca e al differenziale dei tassi d’interesse la Germania dal 2009 a oggi ha guadagnato 80 miliardi di euro e che la favola che narra dei contribuenti tedeschi che pagano di tasca loro i debiti ellenici è appunto tale: una favola. Tant’è che l’economista premio Nobel Paul Krugman ha scritto sul New York Times che «i politici tedeschi non hanno mai spiegato ai loro cittadini ‘la matematica’ scegliendo la facile via del moralismo». Un deputato tedesco si è spinto anche più in là, affermando che «finora i prestiti di salvataggio alla Grecia non sono costati un solo euro al contribuente» tedesco.
Chi ne ha approfittato maggiormente sono state la BundesBank e i creditori internazionali, Fmi in testa, che Atene ha già rimborsato di 1,2 miliardi di euro a metà marzo e di 6 miliardi alla fine del mese. Era evidente, già prima delle elezioni, che non sarebbe più stato possibile contenere il ‘problema Grecia’ entro i suoi confini naturali, ma che avrebbe subito incrinato e reso palesi le diversità dei punti di vista e le spaccature all’interno della stessa Germania, a dispetto della sua immagine ufficiale tutta d’un pezzo. A uno Schauble che invoca ringhiando l’uscita di Atene dall’euro, seguito a ruota dai ragionieri dell’Eurogruppo, fanno da controcanto le prese di posizione a favore dei greci del sindacato dei metalmeccanici Ig Metall, dei Verdi e della Linke. Un esponente di questo partito, riferendosi alle recenti contestazioni a Francoforte all’inaugurazione della nuova sede della Bce, ha affermato che «i trentamila manifestanti dimostrano come molte persone non siano più disposte a farsi terrorizzare da questa gestione della crisi». La Grecia forse non è più sola nel tentativo di allentare la cravatta che l’Europa le ha regalato.
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