La “Globalizzazione” ed il G8 di Genova
Oggi, 19 aprile 2021, si compiono venti anni dall’apertura del G8 che si svolse a Genova. L’evento risultò decisivo nella determinazione della strategia relativa alla “globalizzazione” stabilita dalle otto potenze politiche ed economiche partecipanti. Il convegno enunciò tre linee guida che sono state completamente disattese (anzi capovolte in alcuni punti) dalle azioni svolte nel corso degli ultimi venti anni. Ma non solo. Genova, in quei tre giorni, fu teatro di violenze intollerabili (peraltro previste) da parte dei cosiddetti “Black block” e, parimenti intollerabili, da parte delle forze preposte dal ministro dell’interno Scajola del governo Berlusconi.
A seguito di quei fatti mi sentii fortemente coinvolto nel lato emotivo e preparai una cronaca che ora ripropongo in maniera completa affinché quell’evento sia rinfrescato nelle memorie di coloro che lo hanno vissuto e affinché sia presentato a coloro che, troppo giovani allora, non lo conoscono affatto.
Comunicato del G8:
- Noi, i Capi di Stato e di Governo di otto delle principali democrazie industrializzate ed i rappresentanti dell’Unione Europea, ci siamo riuniti a Genova per il primo Vertice del nuovo millennio. In uno spirito di collaborazione abbiamo affrontato i problemi più pressanti dell’agenda internazionale.
- Come Leader democratici, responsabili verso i nostri cittadini, crediamo nell’importanza fondamentale di un dibattito pubblico ed aperto sulle principali sfide che le nostre società devono affrontare. Promuoveremo soluzioni innovative basate su di un’ampia partnership con la società civile ed il settore privato. Ricercheremo, inoltre, una cooperazione e solidarietà più accentuate con i paesi in via di sviluppo, basate su una reciproca responsabilità per combattere la povertà e promuovere lo sviluppo sostenibile.
- Siamo decisi a far sì che la globalizzazione lavori a favore di tutti i nostri cittadini e specialmente per i poveri del mondo. Includere i paesi più poveri nell’economia globale è il modo più sicuro per rispondere alle loro aspirazioni fondamentali. Abbiamo concentrato le nostre discussioni sulla strategia per riuscire in questo intento.
Comunicato del Genoa Social Forum:
Vogliamo verità, giustizia e democrazia!
Verità rispetto ai fatti del 20 e del 21.
Giustizia per le decine di persone arrestate e ferite, le perquisizioni arbitrarie, la violenza subita.
Democrazia, poiché crediamo nello stato di diritto.
Ho riportato le dichiarazioni ufficiali – dei due fronti contrapposti – al termine dell’evento che si è svolto a Genova il 20-21-22 luglio 2001 e che tutto il mondo ha seguito direttamente attraverso le televisioni ed i mezzi di informazione.
Il 23 luglio, inoltre, nella sua relazione al Parlamento, il ministro dell’Interno Scajola fece l’elenco dei feriti e degli arrestati. Il bilancio, comunicato dallo stesso Ministro, è il seguente:
“280 persone arrestate, 231 feriti, di cui 94 appartenenti alle forze dell’ordine, 121 manifestanti e 16 giornalisti”.
Tra gli arrestati, sono 130 le persone ancora rinchiuse nel carcere, di cui dieci donne. Tali persone, prevalentemente cittadini svizzeri, tedeschi e francesi, sono accusate dei reati di danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale. Poi il Ministro ha difeso con decisione le forze dell’ordine e ha dichiarato che il loro operato è servito per contrastare “l’atteggiamento irresponsabile” tenuto dal Genoa Social Forum che, a suo avviso, ha favorito i gruppi dei Black Block i quali “hanno dato vita a una serie di danneggiamenti e aggressioni tipici della guerriglia urbana, spesso infiltrandosi e confondendosi con gli altri manifestanti. È stato in occasione del corteo non autorizzato delle tute bianche che sono avvenuti gli scontri più gravi, durante i quali, per difendersi da quello che stava diventando un linciaggio, un carabiniere ha causato la morte del giovane manifestante”.
Per quanto riguarda, poi, la violenta incursione notturna alla scuola Armando Diaz che ospitava una rappresentanza dei ragazzi manifestanti, nonché il centro stampa e l’ufficio legale del Genoa Social Forum, il ministro Scajola ha dichiarato che essa “si è resa necessaria per evitare che nel corso della giornata conclusiva vi potessero essere ulteriori gravi disordini”.
Un fotografo di Parigi, presente in piazza Alimonda il pomeriggio della tragedia, ha dichiarato:
“Intorno alle 17.30 il grosso dello schieramento di polizia in via Tolemaide ha cominciato a tornare indietro rapidamente fino a fermarsi all’altezza del cavalcavia della ferrovia in corso Torino. Trecento manifestanti hanno seguito la polizia, mentre molti da dietro gridavano ‘è una trappola’. Io sono andato dietro ai manifestanti, tranquillo, e in un piccolo vicolo a sinistra ho visto 30-40 carabinieri con gli scudi. La polizia ha sparato i lacrimogeni. I carabinieri del vicolo invece non hanno sparato, ma si sono spostati indietro di una ventina di metri correndo in disordine sino a piazza Alimonda. Qui c’erano un furgone e due jeep che sono subito partite. Una jeep si è scontrata contro un cassonetto e non è riuscita a ripartire. A bordo c’erano un autista e due persone. Sei o sette manifestanti si sono avvicinati e hanno gettato sassi da cinque o sei metri. Poi hanno cominciato a colpire la macchina con i bastoni. I poliziotti erano fermi a venti metri. Io non capivo perché non andavano ad aiutare i carabinieri. Mentre fotografavo, ho visto un uomo in divisa senza scudo, forse un ufficiale, che impugnava una pistola. Ho sentito due colpi. Pensavo fossero in aria invece ho visto cadere un ragazzo. Il proiettile gli è entrato nell’occhio destro e il sangue zampillava dall’occhio”.
Questi, a caldo, sono i fatti che hanno fatto indignare organizzazioni quali la Federazione Nazionale della stampa, Amnesty International, tutte le organizzazioni pacifiste presenti alla manifestazione antiglobal, le forze sociali, le espressioni democratiche del dissenso pervenute alla riunione di Genova da tutto il mondo, nonché lo schieramento dei partiti italiani del centrosinistra. L’indignazione è sopravvenuta per la gestione violenta del confronto operata dalle forze dell’ordine e dal Governo italiano. Ma tutta questa massa di persone rappresentano uno “schieramento politico eterogeneo” al quale, fisiologicamente, si contrappone un altro schieramento politico che, d’altro canto, si indigna per “la connivenza e l’azione che le tute bianche hanno organizzato per proteggere i violenti delle tute nere” o per “il vergognoso schierarsi del centrosinistra a fianco dei teppisti” e si compiace per il “giusto e atteso comportamento duro” delle forze dell’ordine contro questi “rappresentanti dell’eversione e del disordine”. Io personalmente ritengo che sia doveroso denunciare qualsiasi tipo di violenza, sia che essa venga da azioni di polizia, sia che venga da una massa di manifestanti. Però non confondo le responsabilità dei manifestanti violenti con quelle di coloro che vogliono solo pacificamente esprimere il proprio dissenso verso il tipo di globalizzazione in atto e vogliono rivendicare la globalizzazione dei diritti; come non confondo le responsabilità di chi, volendo creare un clima cupo e intimidatorio, emana e ordina strategie (il Governo), con quelle di chi è costretto ad eseguirle (le Forze dell’ordine).
Ma la forte contrapposizione fra i due schieramenti creati all’interno della nostra società conduce sicuramente ad alcuni risultati inequivocabili:
- si perde di vista l’obiettivo primario del G8;
- si perde di vista la volontà della stragrande maggioranza dei manifestanti antiglobal di denunciare pacificamente gli squilibri che la globalizzazione, come è stata intesa finora, provoca nella distribuzione delle risorse esistenti sulla terra;
- si inducono, di fatto, i gruppi pacifisti a disertare qualsiasi tipo di protesta per “non fiancheggiare i violenti” o, addirittura, per non essere coinvolti in manifestazioni che, da oggi, saranno considerate “sicuramente” pericolose per la propria salute.
- ed ancora, fatto gravissimo, si colpisce a morte l’idea dello “Stato Garantista”: nella scuola “Diaz”, nel corso della notte e a manifestazione praticamente conclusa, lo Stato ha colpito indiscriminatamente le componenti inermi dei violenti e dei non violenti (peraltro in maggioranza e perseguenti obiettivi umanitari), nonché organi di stampa e di informazione nel corso di trasmissioni in diretta. Facendo un parallelo con le violenze domenicali all’interno dei nostri stadi, immaginiamo che i nostri tutori dell’ordine, invece di prevenire le violenze o colpire gli imbecilli violenti, venissero indotti, per porre fine alle violenze, a colpire con i randelli tutti gli spettatori presenti.
Chi giudica positivamente l’azione da “Stato di Polizia” condotta a Genova in questi giorni dovrebbe immaginare che un “montare” di questo tipo di repressione potrebbe colpire, domani, lui stesso oppure i suoi cari, i suoi amici.
Tornando al tema della globalizzazione, è indubbio che questo fenomeno si stia concretizzando sempre di più, in maniera autonoma, sfruttando i mezzi di comunicazione che diventano via via più efficaci e a disposizione di frange sempre più estese della popolazione dei paesi industrializzati. L’attrazione gravitazionale esercitata dai paesi industrializzati, però, porta spontaneamente, specialmente in un sistema governato da un’economia liberista, a globalizzare le economie forti (e nel loro interno i poteri forti); ed ecco, quindi, che si globalizza (contrariamente a quanto enunciato nel comunicato dei G8) il mercato del traffico delle armi o gli interessi delle multinazionali o, nel migliore dei casi, la speculazione del capitale.
La sfida politica che ci attende è quella di utilizzare la globalizzazione per universalizzare le regole contro i genocidi, per universalizzare le regole a protezione dell’uomo e della sua dignità, per universalizzare le regole per la protezione dell’ambiente, per universalizzare la cultura e la giusta distribuzione delle risorse, per universalizzare…
Domani dovremo, comunque, decidere il tipo di sistema globale che vogliamo. Due possibili scenari sono:
- potremo realizzare un sistema di cittadinanza dove si possa godere di libertà e di una protezione sociale equilibrata. Si tratta di realizzare, imitando alcuni paesi sviluppati in maniera più armoniosa, una democrazia transnazionale che contenga regole per l’integrazione fra “attori principali” e “imbucati”, coinvolgendo e proteggendo cioè anche quella moltitudine di “non autorizzati” ed emarginati che intervengono sempre più numerosi ad affollare il palcoscenico della globalizzazione.
- potremo imitare alcune pseudo “repubbliche” africane, od anche sudamericane, dove una frangia minoritaria e privilegiata vive blindata chiusa all’interno di “prigioni dorate” nel terrore continuo di vedersi “invasa” e vedere in pericolo i privilegi di cui gode, mentre il resto della popolazione mondiale è costretto, è spinto, ad emigrare per non morire; è costretto a delinquere per sopravvivere.
C’è una frase che riesce a stigmatizzare entrambi le configurazioni descritte: “la guerra alla povertà”. Guerra combattuta però con due obiettivi diversi:
- chi vuole distribuire il benessere anche a chi non lo ha mai avuto;
- chi vuole la sconfitta dei poveri.
Ringraziamo il nostro collaboratore Gianluca Polverari che ci ha concesso l’uso delle immagini da lui scattate direttamente in quei giorni a Genova.
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