La funzione della lupa
Proprio così dettava la traccia di uno dei tre temi che la professoressa ci aveva assegnato. Leggevo e rileggevo e non riuscivo a capire che cosa veramente volessero quelle tre richieste che stavano ferme lì, sul foglio, e mi guardavano più annoiate di me. Che avrei potuto scegliere se non mi veniva una sola idea? Teocrito? Ricordavo soltanto che è nato a Siracusa, che è stato amico di Callimaco (ma anche di Callimaco non ricordavo niente) e che aveva scritto gli Idilli. Probabile che col passare dei secoli avesse avuto a che fare anche con la poesia di Virgilio, ma i dubbi erano colossali e neanche una bava di ricordo su come egli concepisse, descrivesse o parlasse comunque della natura.
Scartato. La diaspora del senso? E che significava? In che senso dovevo intendere che il senso si era sparso per ogni dove e lontano dalla sua patria? Non nascondo che pensai a uno scherzo della professoressa, ma la conoscevo bene e nella sua mente non esisteva neppure il concetto di scherzo, neppure la parola scherzo. Sempre rigida, inflessibile, seria e distante: figuriamoci se si fosse fatta tentare da uno scherzo! Tuttavia alzai la mano per domandarle se poteva darmi un suggerimento sulla prima traccia, quella della diaspora.
“Siediti e non fiatare se non vuoi che ti mandi via dall’aula”.
E mi sedetti, ma in verità neppure sconsolato, perché davanti a quel muro, a quel silenzio delle tracce non mi ero scomposto più di tanto. Credo che anche i miei compagni fossero nello stesso pantano, ma zittivano e cercavano tra le loro fisarmoniche un indizio e magari lo svolgimento di un’intera traccia.
“Possibile che non hai niente neanche su Teocrito?”.
“Neanche sulla lupa. Che diavolo le è venuto in mente a questa scema, le tracce le avrà trovate su un manuale delle zitelle”.
“E allora? Non sei il mago che scova tutto? Muoviti”.
“Non ho niente, mi dispiace”.
“Consegniamo tutti foglio bianco?”.
“Io ci sto”.
Ma la classe, essendo a fine anno e avendo perciò paura di una ritorsione, si divise e così alcuni cominciarono a lavorare sulla funzione della lupa nella storia romana.
Piegai il capo anch’io e mi misi all’opera: «Non essendo in grado di svolgere i temi sulla diaspora e su Teocrito ho scelto quello sulla lupa perché io sono cittadino romano e al Campidoglio ci sono stato tante volte e ho potuto vedere la lupa su una colonna mentre allatta i due piccoli. Dev’essere stata una lupa santa e la sua bontà è da ammirare perché solitamente i lupi, maschi o femmine, azzannano l’uomo, figuriamoci se si tratta di due bambini. O, come dicono inglesi, francesi e leghisti, la lupa era cieca e li ha scambiati per cuccioli? Non solo non li ha morsi, ma li ha nutriti e protetti e dunque, povera lupa, ha confuso, ha preso un abbaglio e così la leggenda ha potuto avere il suo compimento. Ma non sono riuscito a capire che funzione ha avuto la lupa nella storia di Roma; a pensarci mi confonde il cervello e mi verrebbe di strappare il foglio, farlo a pezzetti. Dunque… la funzione della lupa nella storia di Roma…». Tra i miei pizzetti finalmente riuscii a trovare appunti che forse avrebbero potuto guidarmi e perciò proseguii: «Chi pensò alla lupa e ai due gemelli ebbe un’idea geniale, perché infatti il simbolismo della lupa ha un aspetto duplice: uno benefico e l’altro infernale. Ecco perché Romolo e Remo, con il trionfo finale del fratello satanico. Del resto non era una lupa la nutrice dell’Acheronte? Ed ecco bella e sistemata l’origine di Roma, somma di cattiveria e di bontà alleate per dare al mondo la perfetta rappresentazione di che cosa Roma è stata e sarà. Ed è ovvio che mai una delle due facce oscurerà l’altra. Ci sono stati e ci saranno momenti, epoche in cui la bilancia peserà a favore dell’una o dell’altra, ma ogni cosa ritornerà a pullulare di intensa presenza-assenza. La lupa non ha avuto mai una funzione, è stata soltanto la spia per ricordarci che Roma è spaccata in due e che nessuna delle due parti può esistere senza l’altra. È gemella, è coppia di un matrimonio deciso ab aeterno». Non riuscii a trovare altro da dire e naturalmente la professoressa mi appioppò un bel due con tanto di firma e con un commento ironico sulla cecità della lupa, che lesse ad alta voce mettendomi alla berlina con la classe. Io però il giorno dopo le portai la fonte dove avevo ricavato le notizie e lei candida: “Non sono le notizie a essere sbagliate, ma le affermazioni. Hai dedotto a capriccio e senza un minimo di credibilità storica”. Allora non ci vidi più e mi misi a gridare: “Lei, prof, è una lupa sterile, sterile, una lupa sterile. Li vorrebbe due gemelli, vero? Li chiamerebbe Romolo e Remo e li allatterebbe. Ma poveretti nascerebbero ciechi, loro due, Romolo e Remo. E invece… E poi, che ne sa lei di Roma, una che è nata a Monza che può capirne di queste cose?. Lo sa che esiste il bianco e il nero, la notte e il giorno, la luce e il buio, l’amore e l’odio, la bontà e la cattiveria, la verità e la bugia?”. I compagni batterono le mani. Le continuò per tutto il tempo del mio sfogo a guardarmi torva e poi, in un eccesso d’ira gridò: “Ti sospendo da tutte le scuole del regno”.
“Quale regno, prof, quello della lupa cieca o quello del lupo mannaro?”.
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