La fissione nucleare compie 70 anni – 6
In cerca di transuranici L’Istituto di Fisica di Roma. Il ragazzi di via Panisperna (Enrico Fermi, Edoardo Amaldi, Emilio Segrè, Franco Rasetti, fisici, il chimico D’Agostino e i neo-arrivati Ettore Majorana e Bruno Pontecorvo, anch’essi fisici) avevano più volte scisso il nucleo dell’atomo di uranio fino dal lontano ottobre 1934, nell’Istituto di Fisica fondato a Roma da Orso Maria Corbino: ma non se ne erano resi conto. Durante i quattro anni che seguirono, il nucleo dell’atomo di uranio aveva subito molteplici volte un processo di fissione indotto dalla collisione con neutroni, oltre che dai fisici italiani, anche nei laboratori di Berlino e Parigi. Tuttavia, nessuno aveva la consapevolezza di che cosa stesse succedendo. Erroneamente, Fermi pensava di aver creato uno o due nuovi elementi, ma i risultati erano, a dir poco, imbarazzanti. Aveva bombardato con neutroni anche l’uranio: quest’ultimo diventava radioattivo e acquisiva nuove proprietà chimiche, come se fosse stato trasmutato in un altro elemento: eppure le nuove proprietà non risultavano quelle attese. Nelle parole dello stesso Fermi: nonostante tutte le analisi chimiche espletate non si riuscì mai a comprendere quali elementi fossero responsabili della radioattività. Il difetto metodologico, lo si capirà soltanto più tardi, era quello di avere limitato la analisi chimica soltanto ad elementi limitrofi all’uranio nella scala dei numeri atomici. A nulla valse la indicazione fornita da un articolo comparso su una rivista tedesca di chimica applicata dai coniugi Ida e Walter Noddack: costoro suggerivano che quando i nuclei pesanti (vale a dire, con alto numero atomico), come l’uranio, vengono bombardati con neutroni, i nuclei suddetti potrebbero essere frammentati in elementi di numero atomico medio. Suggerimento che si rivelerà esatto. Perché Fermi e gli altri fisici della scuola di Roma non ne erano stati convinti? Sembrava ovvio allora che l’atomo non potesse essere frantumato da un esperimento di laboratorio come quello approntato in via Panisperna. Tutti i principi della fisica sembravano indicare che per spezzare un nucleo fossero necessarie forze di grandezza assai maggiore di quelle che erano in grado di maneggiare i fisici di quei tempi.
L’Istituto Curie a Parigi. Nel 1932, James Chadwick aveva scoperto la chiave della fissione dell’atomo: il neutrone. Ma non se ne rese conto. Tre anni più tardi, Frédéric Joliot-Curie, ricevendo a Stoccolma insieme alla moglie Iréne il premio Nobel per la scoperta della radioattività artificiale, disse: È lecito pensare alla possibilità che gli scienziati possano creare e distruggere elementi e riuscire anche a realizzare trasformazioni nucleari esplosive. Qualora queste trasformazioni avessero luogo e si propagassero nella materia, avrebbe luogo la liberazione di enormi quantità di energia utilizzabili per gli scopi più diversi. La profezia di Joliot non destò alcun interesse. Soltanto uno scienziato intuì quasi immediatamente la portata anche politica della scoperta del neutrone: il fisico ungherese Leo Szilard.
L’Istituto di Fisica di Berlino. A Berlino e Parigi, fisici e chimici ripetevano gli esperimenti della scuola italiana, nel tentativo di isolare e spiegare le sorprendenti caratteristiche del nuovo elemento (più pesante dell’uranio?) che si supponeva venisse creato. Si era di fatto creata una vera e propria caccia per la identificazione del nuovo elemento, un agone quasi sportivo in cui al posto della medaglia d’oro olimpica sarebbero arrivati uno o due premi Nobel, sia per la fisica sia per la chimica. Le teste di serie della disputa scientifica erano due donne, l’austriaca Lise Meitner e la francese Iréne Joliot-Curie (figlia della famosa Madame Curie), per anni rivali acerrime. La Meitner aveva lavorato in un sodalizio durato 30 anni con il chimico Otto Hahn, presso lo Emil Fischer Institute di Berlino. La collaborazione durò fino al 1938, anno in cui Lise Meitner, che era israelita, fu costretta ad abbandonare Berlino e rifugiarsi in Olanda prima e in Svezia e Gran Bretagna poi: per non tornare mai più in Germania. Tuttavia Hahn continuò i suoi raffinati esperimenti di separazione chimica dei materiali radioattivi che risultavano dal bombardamento neutronico: in collaborazione con il nuovo collega Fritz Strassmann. Nella lunga (per molte ragioni sia scientifiche, sia politiche) estate del 1938, un fisico del talento di Ernest O. Lawrence, l’inventore del ciclotrone, annunciava che era del tutto illusorio aspettarsi energia utilizzabile dal nucleo dell’atomo. Einstein, Planck e Bohr – le teste di serie della lista mondiale dei fisici – credevano fermamente che la fissione fosse impossibile in circostanze comuni. Eppure, alla fine del 1938, Hahn e Strassmann trovarono che – mescolate con l’uranio irradiato con neutroni – si distinguevano chiaramente minute quantità di bario: un elemento (numero atomico 56) che pesa poco più della metà dell’uranio. Era la prova che il nucleo di uranio poteva frammentarsi in due parti, invece di formare un elemento più pesante dell’uranio stesso. Poco prima del Natale 1938, Hahn e Strassmann prepararono un articolo, pubblicato sulla rivista tedesca Naturwissenschaften del gennaio 1939: erano talmente riluttanti a opporsi alle dottrine dominanti dei grandi della fisica che, malgrado la incontrovertibile evidenza, si rifiutavano di trarre conclusioni dalla loro scoperta. Ecco che cosa scrivevano: come chimici, garantiamo la presenza del bario; come chimici nucleari, e quindi associati da vicino ai problemi della fisica, non siamo in grado di decidere se intraprendere o meno questo passo in contraddizione con tutti gli esperimenti precedenti della fisica nucleare.
Merry Christmas 1938. Hahn scrisse a Lise Meitner, descrivendo con la massima cura i dettagli degli esperimenti. Le implicazioni di queste misure erano di immediata trasparenza per Meitner, la quale stava trascorrendo le vacanze natalizie a Kungelv, nei Paesi Bassi, insieme al giovane nipote Otto R. Frisch. Frisch era un giovane fisico, fuggito dalla Germania per andare a lavorare con Niels Bohr, presso l’Istituto di Fisica di Copenhagen. Discutendo avidamente il rapporto tecnico inviato da Hahn, durante le lunghe passeggiate sulla neve, zia e nipote formularono il modello teorico della frammentazione del nucleo di uranio. E scrissero una lettera alla rivista inglese Nature che venne pubblicata pochi giorni dopo l’articolo di Hahn e Strassmann. In questa lettera si faceva per la prima volta menzione del vocabolo fissione preso a prestito dalla biologia dove descrive il processo attraverso il quale le cellule spezzandosi in due si moltiplicano in progressione geometrica. Nel medesimo articolo si fa anche menzione (udite! udite!) della circostanze per cui la frammentazione del nucleo è accompagnato da un ingente rilascio di energia.
La scoperta della fissione provoca un terremoto nell’ambito della fisica nucleare. Da quel momento in poi, gli eventi precipitarono. Frisch tornò in gran fretta a Copenhagen per riferire le nuove scoperte a Niels Bohr, che partiva il giorno stesso per un giro di ricognizione a New York e in altri istituti di fisica negli USA. Alle parole di Frisch, Bohr si era schiaffeggiata la fronte urlando: Perché, perché abbiamo trascurato per tanto tempo questa ipotesi! La discussione tra i due si svolge in maniera così accesa da rischiare di far perdere al grande fisico danese la nave per New York. Sulla banchina del porto, poco lontano in linea d’aria dalla maestosa Statua della Libertà, un illustre personaggio aspetta l’arrivo di Niels Bohr: il suo nome è Albert Einstein, altro rifugiato dal nazi-fascismo, ormai ricercatore presso l’Istituto di Studi Avanzati di Princeton. Sbarcato appena tre settimane prima di Bohr, Enrico Fermi ha riavviato, con grande entusiasmo, i suoi studi sperimentali alla Columbia University di New York, grazie alla solidale amicizia del Preside della facoltà di Fisica, il professor George Pegram, dopo avere ritirato il Premio Nobel 1938 per la fisica, il 10 dicembre a Stoccolma. Fermi ha deciso di non ritornare nell’Italia fascista e ha condotto con sé la famiglia nella trasferta americana. Lunedì, 16 gennaio 1939, Bohr sbarca a New York. Visitando l’Istituto a Princeton, ha occasione di parlare dell’esperimento di Strassmann e Hahn a Berlino con John A. Wheeler, un giovane fisico di 27 anni. Wheeler organizza subito un meeting a Princeton per il mercoledì successivo, 18 gennaio: speaker d’eccezione è Bohr, argomento la fissione nucleare. Purtroppo Enrico Fermi, che ha teorizzato, progettato e realizzato le prime indagini sull’argomento, non può essere presente.
L’incontro tra Bohr e Fermi a Washington. È un giovane collega di 25 anni, Willis Lamb, a portare a Fermi notizie delle clamorose rivelazioni di Bohr a Princeton: la ricercatissima soluzione di un romanzo giallo, durato ben 5 anni, della corretta interpretazione degli esperimenti di via Panisperna. Fermi progetta immediatamente un esperimento per confermare i nuovi risultati, ma non ha neppure il tempo di attenderne l’esito. Ha infatti un appuntamento con Bohr a Washington per giovedì 26 gennaio, nel corso di una conferenza teorica. Fermi non ha apparentemente alcun dubbio che, nel bombardamento dell’uranio con neutroni lenti, possa aver luogo un evento di fissione. Bohr e Fermi siedono nell’ultima fila di banchi di una aula della George Washington University, discutendo animatamente, del tutto ignari di quanto sta succedendo nel resto della sala. Sono consapevoli che siano state realizzate scoperte di assoluta rilevanza per la fisica teorica e sperimentale: tuttavia non hanno ancora compreso l’importanza della fissione nucleare in un mondo in guerra.
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