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La fissione nucleare compie 70 anni – 37

La fissione nucleare compie 70 anni – 37
Agosto 13
15:33 2011

Hans Albrecht BetheLe memorie di Los Alamos di Hans Bethe

Cenni biografici europei e americani. Hans Albrecht Bethe (1906-2005) è nato a Strasburgo, in Alsazia-Lorena. Ha studiato due anni alla Università di Francoforte e altri due alla Università di Monaco di Baviera, completando un Ph.D. in fisica teorica sotto la guida del professor Arnold Sommerfeld nel 1928. Ha poi goduto di borse di studio sia a Cambridge sia a Roma, presso il laboratorio di Fermi e colleghi. Bethe è emigrato in Inghilterra nell’ottobre 1933, poi negli USA nel 1935 presso la Cornell University. Ha poi lavorato al Laboratorio di Radiazioni del Massachusetts Institute of Technology, sul tema del radar a microonde.

Viaggio con destinazione ignota. Hans Bethe arrivò a Los Alamos nell’aprile 1943. Sua moglie Rose Ewald, che era stata nominata sovrintendente agli alloggi per il Progetto Manhattan, era già sul posto da 10 giorni. Andai in treno in un posto chiamato Lamy, nel New Mexico, mi raccontò Bethe. Lamy era la stazione ferroviaria si Santa Fe. A Los Alamos, dopo qualche tempo, girava la storiella di un gruppo di persone che alla stazione di Princeton va a comprare i biglietti per Lamy. Non andateci, dice loro il bigliettaio, sono già partiti in 20 e nessuno di loro è ancora tornato. Lamy era il deserto assoluto: qualche casa, un bar e niente altro. Rose mi venne a prendere con una macchina del governo e ci avviammo attraverso le dune tra spazi infiniti. La primavera era appena iniziata e qua e là c’erano alberi di frutto fioriti, ma la maggior parte del territorio era sabbia, sabbia, sabbia. Oggi trovo la gita assai piacevole, ma allora quelle montagne aride e il deserto mi incutevano paura: immaginavo di vagare in quei posti senza un goccio d’acqua. Lasciato il deserto, prendemmo una strada polverosa che saliva serpeggiando su per la montagna: si rischiava in ogni istante di precipitare nella gola sottostante. A parte il pericolo, mi sembrava sempre più improbabile che in quel sito potesse essere sistemato un grande laboratorio. In cima, sull’altopiano, il paesaggio era splendido: intorno a Los Alamos c’erano pinete e si vedevano le montagne coperte di neve sull’altro versante della vallata del Rio Grande. E poi c’era il cielo più azzurro che si potesse immaginare e l’aria più pura. (Jeremy Bernstein, Hans Bethe: il profeta dell’energia, Garzanti 1983)

Baracche: e le chiamano laboratori. In mezzo a tutto questo, avevano costruito baracche militari. Baracche è proprio il termine più appropriato per descrivere quelle che, in realtà, erano le strutture di vari laboratori. In seguito vennero costruite case con la idea di usarle soltanto per la durata del progetto. All’inizio abitammo nel vecchio Padiglione. Los Alamos era stata sede di una scuola per ragazzi indio e il Padiglione era una struttura della scuola. Erano già arrivati un centinaio di addetti ai lavori e molti abitavano fuori Los Alamos anche a 30 Km di distanza. Oppenheimer, all’inizio, pensava che per progettare la bomba bastassero 30 persone. Isidor I. Rabi e Robert F. Bacher lo persuasero che ne occorrevano almeno 500. Alla fine della guerra, i laboratori ospitavano, tra ricercatori e tecnici, più di 5000 anime. Non appena fu chiaro che il numero delle persone sarebbe aumentato, Oppenheimer si convinse che il laboratorio doveva essere organizzato in divisioni e ogni divisione in gruppi. A Bacher fu chiesto di dirigere la Divisione di Fisica sperimentale; un chimico di 26 anni, Joseph Kennedy, che aveva partecipato con Seaborg e Wahl alla scoperta del plutonio, fu nominato capo della Divisione di Chimica; il capitano William Parsons, ufficiale di marina, fu nominato capo della Divisione Sussistenza; dopo qualche vicissitudine, Hand Bethe fu messo a capo della Divisione di Fisica Teorica. (Jeremy Bernstein, Hans Bethe: il profeta dell’energia, Garzanti 1983)

Edward Teller rifiuta di collaborare alla costruzione della bomba A. Dal momento in cui Hans Bethe ricevette l’incarico di leader della Fisica Teorica, i rapporti che costui e Oppenheimer avevano con Edward Teller andarono deteriorandosi. La mia nomina a capo divisione fu un duro colpo per Teller, che aveva lavorato al progetto della bomba quasi dal giorno stesso in cui ebbe inizio e che a ragione si considerava, per anzianità professionale, a tutti coloro che lavoravano a Los Alamos, compreso Oppenheimer. Perché allora non fu scelto come capo Divisione ? Da un punto di vista scientifico, la creatività di Teller è sempre stata eccezionale: la sua mente produceva continuamente nuove idee nuove sintesi di idee già note. Questa fertilità scientifica è stata la dote che gli ha permesso, nel 1951, di scoprire il metodo per la costruzione della bomba H, basata sulla fusione dell’idrogeno. Tuttavia, allora, nel 1943, Oppenheimer e le persone che lo consigliavano ritennero che il mio modo di ragionare, più lento ma più equilibrato di affrontare i problemi teorici della fisica, e soprattutto quelli umani, sarebbe stato più funzionale al progetto. E ciò soprattutto nella prima fase, quando occorreva rendere operative le decisioni e svolgere calcoli dettagliati: una buona parte del lavoro era quindi di natura organizzativa. Inoltre i ricercatori con posizioni direttive avevano stabilito di non proseguire nello sviluppo della bomba a fusione dell’idrogeno se non, forse, per valutarne le possibilità teoriche. Tutti dovevamo rivolgere i nostri sforzi alla costruzione di una arma fondata sul processo di fissione che potesse essere costruita e realizzata. (Jeremy Bernstein, Hans Bethe: il profeta dell’energia, Garzanti 1983)

Teller odiava le rigide strutture militari. Anche questa decisione non piacque a Teller, che era venuto a Los Alamos con l’idea di continuare il suo lavoro sulla bomba all’idrogeno e di avere un buon numero di ricercatori a sua disposizione per quel progetto. Un commento di Teller su quegli avvenimenti è stato riportato da Stanley Blumberg e Gwinn Owens, autori di una sua biografia intitolata Energy and Conflict. Ricorda Teller: Una delle ragioni per le quali il laboratorio di Los Alamos venne fondato come entità autonoma, fu che dovevano essere sviluppate insieme sia la bomba a fissione (bomba A) sia la bomba a fusione (bomba H). In realtà ciò non avvenne e rinunciare a quella parte del progetto non mi fece certamente piacere. Inoltre, l’organizzazione del progetto venne affidata a Bethe: posso sbagliarmi, ma credo che Bethe abbia dato peso eccessivo all’aspetto organizzativo. Si arrivò molto vicini a una struttura di tipo militare, con rapporti di autorità piuttosto rigidi. Sentii una volta Oppenheimer parlare della esperienza di Las Alamos. Egli osservava che, quando il progetto ebbe inizio, lo infastidiva l’idea che, probabilmente, ci sarebbe stata una sfasatura nelle ricerche. (Jeremy Bernstein, Hans Bethe: il profeta dell’energia, Garzanti 1983)

Impressioni umane e filosofiche su Los Alamos. Come il generale Lesile R. Groves rivela nelle sue memorie, la scelta dello stato del New Mexico, come sito per un laboratorio di armi nucleari e per la esplosione di prova dell’ordigno nucleare, è stata più o meno fortuita. Avrebbe potuto essere la California. Tuttavia, per gli uomini e le donne che hanno trascorso gli anni della seconda guerra mondiale in cima alla mesa del New Mexico, il paesaggio sembrava peculiarmente appropriato. Un’altra località era impensabile. Tutti erano coinvolti in una iniziativa drammatica, la coreografia doveva essere quella di una tragedia greca. Esisteva un elemento di fantasia nelle loro vite: questo era necessariamente riflesso del milieu. Il deserto sottostante, coperto di piccoli intagliati e rocce superbe, ricordava (la similitudine invoca Willa Cather) cattedrali abbandonate da un Dio in fuga. Attribuite secoli prima della venuta degli scienziati atomici, le denominazioni geografiche contenevano gli strali di feroci ironie: le montagne del Sangre de Cristo e i passi del Jorando del Muerto. Sarcastica era anche l’enorme concentrazione di sofisticato talento scientifico in una regione del paese dove sia per scelte di conservazione sia per l’intrinseca povertà, rimanevano tracce di nonni e bisnonni di generazioni ancora in vita. Mentre i migliori fisici lottavano strenuamente come un magico meccanismo per perfezionare un’arma radicalmente avanzata – la foto scattata da Laura Fermi di un Enrico Fermi esausto era il vero ritratto della condizione esistenziale di tutti gli altri scienziati – gli indiani e gli ispano-americani della vallata attendevano ai lavori agricoli con metodi primitivi ed antichi, basati sulla manualità e su vecchi muli. (Jane Wilson, Prologue, Bulletin of the Atomic Scientists, volume XXVI, number 6, June 1970)

 

La grande opportunità di un disarmo globale. Eugene Rabinowitch puntualizza che l’individuo umano ha sempre camminato lungo un sentiero di paura e di sfiducia. La guerra atomica non ha sradicato una guerra longeva quanto l’esistenza dell’uomo sulla terra. Tuttavia, si è perduta una grande opportunità per il disarmo globale definitivo. Eppure, questa retrospettiva, a un quarto di secolo dal Trinity Test, in cui l’esplosione nucleare ha illuminato a giorno il cielo del Viaggio della Morte nei pressi di Alamogordo, dimostra che l’impresa è stata ed è tuttora un grande successo. Questo è stato particolarmente vero per gli scienziati coinvolti: E’ stata una delle rare occasioni della vita in cui mi sono sentito veramente vivo, dice uno scienziato assai noto a proposito dei giorni di Los Alamos. Questo sentimento trova simile eco in quasi tutti i colleghi, riporta la storica della era nucleare, Alice Kimball Smith. Dopo il successo della esplosione di prova, Otto Frisch e Robert R. Wilson sostengono che ci sono state riflessioni, dubbi, ripensamenti, ma, alla richiesta esplicita, conoscendo quanto sapete adesso, lo rifareste ? la risposta risulta invariabilmente, sì, certamente, sì. Non è una semplice coincidenza che i veterani del Progetto Manhattan siano oggi i leader della programmazione scientifica e tecnologica della nazione. (Jane Wilson, Prologue, Bulletin of the Atomic Scientists, volume XXVI, number 6, June 1970)

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