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La fissione nucleare compie 70 anni – 23

Gennaio 18
15:20 2010

Igor Kurchatov: l’uomo, il fisico (parte III)
Contro la tradizione culturale russa. La ideologia degli specialisti rossi era esplicitamente materialista. Era la produzione l’ultimo valore, forse l’unico valore. Essi glorificavano progetti di costruzione su larga scala e credevano appassionatamente nel primato della industria pesante. Le loro più radicate e innovative credenze si opponevano alla tradizione culturale russa, vecchia di molti secoli, fondata sulla cautela e sulla umiltà della relazione dell’uomo con la potenza della natura. Gli specialisti rossi erano definitivamente progressisti. Il loro compito e finalità ultima era la conquista della natura, in special modo le più proibite sfide dell’ambiente naturale russo. Più alta la sfida, più glorioso il premio.
Costruttori di progresso. Durante gli anni 1930, questo distinto gruppo di specialisti condivise uno spirito di ottimismo mano a mano che essi diventavano costruttori di dighe, strade, linee ferroviarie e fabbriche nei siti meno ospitali di tutto il loro paese. Negli anni 1940, l’ultima sfida era padroneggiare l’energia contenuta nell’atomo. Negli anni 1920 e 1930, la nuova classe tecnocratica sovietica aveva fatto esperienza sulla propria pelle di due periodi di grande terrore. Dal 1928 al 1931. i loro insegnanti, la vecchia classe degli specialisti bourgeois (“borghesi”) fu liquidata e rimpiazzata da una nuova classe, appositamente formata. Dal 1937 al 1939, il padronato, rappresentato dai vecchi bolscevichi che avevano preso il comando della economia, i cosiddetti direttori rossi, fu anche esso sottoposto a severe purghe e rimpiazzato da una nuova elite che conquistò la posizione di predominio nella burocrazia moscovita e cominciò a reggere il corso della nuova economia.
La seconda guerra mondiale. Durante gli anni del periodo bellico, il senso di insicurezza venne dissipato almeno in parte dalla grande esigenza del contributo di tutti per respingere il nemico nazista che aveva invaso il territorio della patria. E così, non appena la guerra cominciò ad avviarsi alla conclusione, il programma atomico, più di ogni altra iniziativa programmatica, offriva una continuità e un rinnovamento di quel senso di sicurezza e solidarietà sociale. Come sempre, Beria aveva in mano le leve del potere. Più tardi, Emelyanov avrebbe ricordato senza alcuna indignazione morale, che cosa sarebbe accaduto se non avessimo tenuto duro? Ci avrebbero fucilato tutti, uno per uno.
Il primo protagonista. Boris Vannikov, il leader del progetto atomico, era nato nel 1897 nella città industriale di Baku, nell’Azerbejan. Descritto nei bollettini ufficiali dell’URSS come figlio della classe operaia, il giovane Vannikov lavorò come aiutante riparatore in attività portuali e, nelle ore libere, come clarinettista in una orchestra cinematografica che accompagnava i film muti dell’epoca. Nel 1919, come lavoratore portuense, si iscrisse al partito bolscevico e diventò segretario del locale sindacato dei metalmeccanici. Durante la guerra civile, prestò servizio nell’Armata Rossa. Dopo la smobilitazione avvenuta nel 1920, Vannikov divenne uno dei primissimi uomini di partito selezionati per l’addestramento tecnologico specifico. Si laureò presso l’Istituto Tecnico Baumann di Mosca nel 1926 e fu spedito subito a dirigere una serie di grandi fabbriche industriali. Uomo basso, tozzo, dal corpo forte con viso quadrato e testa prematuramente calva, Vannikov era estremamente lucido, inquisitivo, dalla forte volontà, con opinioni ben definite, una reputazione di integrità personale e dotato di eccezionali capacità tecniche ed organizzative. Uomo sano, dedito alla famiglia, trascorreva anche le vacanze con la moglie, fatto insolito tra la elite sovietica. Malgrado fosse un devoto bolscevico, non entrava mai nell’arena politica, forse per una cautela derivante dalla sua discendenza ebraica. Piacevole personalità, era un dirigente industriale duro, gesticolante e assai verbale con i subordinati per ottenere risultati.
Il secondo protagonista.
Il secondo amministratore chiave del progetto atomico era Avraami Zavenyagin era un fedele seguace di Beria. Egli era stato segretario del dipartimento di Beria, il Ministero degli Affari Interni, e per alcuni anni aveva supervisionato l’intero impero economico di una URSS in costante espansione. Figlio di un macchinista ferroviario, era nato a Mosca nel 1901. Iscritto al partito Bolscevico nel 1916 era stato assai precoce nel ricevere incarichi assai più importanti della sua giovane età. L’impegno di Zavenyagin era appassionato. Tutti gli studenti che frequentavano istituti tecnici erano sottoposti a questionari. Uno delle 33 domande richiedeva in maniera provocatoria: quale è la tua attitudine verso il potere dei Soviet ? La risposta comune era: credo in essi oppure lavoro per sostenerlo. Risposte così miti non erano sufficienti per Zavenyagin. Sono pronto a morire per esso, dichiarava con slancio. Nel 1933, Zavenyagin progettò una delle maggiori imprese dell’URSS in quel decennio, una immensa fabbrica per la produzione di acciaio a Magnitosk negli Urali meridionali. Poco dopo, egli assunse un alto incarico ministeriale nel dipartimento dell’industria pesante. Nel 1938, quando il dipartimento fu annesso da Beria, Zavenyagin fu spedito, come parte di un test di lealtà, a Norilsk, nel circolo polare artico., per costruire un grande complesso industriale mineraria, fondato sul lavoro di schiavi. Nel 1941, egli fu poi nominato segretario generale agli Affari Interni, sotto Beria, diventando probabilmente il più qualificato ufficiale del Gulag.
La vita privata di Zaveyagin era contraddittoria. L’abitazione di Avraami era un edificio in mattoni, di 3 piani, 14 stanze, che includeva uno studio, un salotto per la musica, una sala da biliardo e una sala per i giochi dei suoi due figli. Circondata da un alto muro, aveva un piccolo parco per daini e un giardino di gran lusso. L’affitto che era obbligato a pagare, così come lo chauffeur personale e l’automobile, veniva coperto dalle spese amministrative dell’impianto di cui era direttore. Duro, determinato, disciplinato, in possesso di un umorismo sagace e distruttivo, Zavenyagin parlava ai suoi subordinati con attitudini militari. Lavorava sodo, la sua competenza tecnica era fuori discussione. Gli anni di duro lavoro, di povertà e di sacrifici materiali avevano in qualche modo ammorbidito la sua consapevolezza proletaria. I tecnici tedeschi, che lavoravano per lui per il progetto atomico, erano spesso meravigliati dalla sua eleganza sartoriale, dal viso sempre sbarbato, dal suo portamento austero ed elegante. .
Il rapporto Smyth. La pubblicazione, in data agosto 1945, del rapporto scritto da Henry DeWolf Smyth – il resoconto ufficiale della storia del Progetto Manhattan – consegnò ai sovietici utili risposte a quesiti fondamentali. Quanto abbia giovato al progresso del progetto atomico sovietico è una risposta difficile da giudicare, ma gli scienziati dell’URSS non persero tempo nel divorarlo dalla prima all’ultima pagina. Furono distribuite copie in tutti i gruppi scientifici e, nel gennaio 1946, il rapporto Smyth venne pubblicato con una prima edizione di 30mila copie, il cui numero eccedeva di gran lunga quello delle copie prodotte in USA e UK. Uno scienziato tedesco che lavorava nel progetto sovietico affermò che fino alla comparsa del rapporto, ogni cosa appariva nebbiosa. Fu di grande valore per l’URSS la notizia, la più importante di quei tempi, che gli USA avevano usato la diffusione gassosa come metodo per produrre U-235 in grandi quantità. Fino alla lettura del rapporto Smyth, eravamo completamento all’oscuro di come muoverci.
La bomba sovietica è scoppiata il 29 agosto 1949. Nello stesso tempo, continuavano i lavori sul progetto della bomba. I primi progetti erano stati condotti sotto la direzione di Igor Kurchatov, ma lo scienziato stesso non possedeva le conoscenze teoriche per condurla a termine. A tutti gli effetti, l’operazione di completamento fu eseguito da Yuli Khariton e Yakor Zeldovich. Anche prima della guerra, questi due fisici teorici avevano pubblicato articoli sulla teoria fondamentale delle reazioni a catena e delle esplosioni atomiche. Kurchatov e la sua equipe avevano terminato il reattore a grafite nel 1948. Un anno più tardi, nell’aprile 1949, un altro team aveva completato un secondo reattore di produzione del plutonio, questa volta moderato con acqua pesante. Nel momento della esplosione di controllo nell’agosto 1949, i sovietici avevano plutonio a sufficienza per due sole bombe. Il primo dispositivo fu fatto esplodere il 29 agosto 1949, nei deserti del Kazakistan nell’Asia centrale sovietica, vicino alla città di Semipalatininsk. Il deserto era stato disseminato di carcasse di edifici, vecchi carri-armati, pezzi di artiglieria fuori uso, con l’aggiunta di corpi di molti esperimenti animali adottati per controllare gli effetti della radioattività sugli esseri viventi. In bunker di concreto, sciami di scienziati e ufficiali militari osservarono il test. Nel posto di comando erano sistemati i leader del governo dell’URSS. Kurchatov e Zavenyagin furono gli ultimi a lasciare la torre di metallo dalla quale il dispositivo atomico fu fatto detonare. L’accecante fascio di luce e la familiare nuvola a forma di fungo innescarono la stessa miscela di orgoglio e di sollievo scientifico di cui scienziati e politici USA avevano avuto esperienza ad Alamogordo circa 4 anni prima. La bomba, come Khrushchev ammise qualche anno più tardi, non era una arma che poteva essere sganciata da un aereo in volo. Le rifiniture erano ancora da venire. Era, comunque – il culmine di uno straordinario sforzo scientifico ed ingegneristico – e rappresentava l’inizio di un lavoro ancora più frenetico per produrre un vero e proprio arsenale nucleare.
(Peter Pringle & James Spigelman, The Nuclear Barons, The inside story of how they created our nuclear nightmare, Michel Joseph, 1982)

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