La fiction d’Occidente
Se è vero che qualsiasi cultura può essere considerata come un insieme di sistemi simbolici, al primo livello dei quali si situano il linguaggio, le prassi matrimoniali, i rapporti economici, l’arte, la scienza e la religione, così per citare l’ultimo maestro della cultura del Novecento, Claude Levi Strauss, dobbiamo ritenere altrettanto vero che tale assunto lo si debba leggere all’interno di uno spostamento sistemico globale che proietta le proprie prerogative su un universo di culture diverse e un tempo distinte, proprio per forme di relazione, categorie di senso e scambi simbolici, a tal punto da congiungere le diverse entità in un fenomeno non più arrestabile e che per la sua pervasività e velocità determina una perdita di identità la cui forma reattiva è la schizofrenia.
Dobbiamo ricordare che l’identità, cioè il riconoscere la propria alterità rispetto alle forme esteriori, si costruisce attraverso la misurazione del mondo ponendo l’io come unità di misura del sensibile, in una serie di rimbalzi tra il sé e l’altro che se non per altro, è un obbligo identitario. Ed è schizofrenica una cultura che stenta a sopportare il peso della omogenizzazione dei propri riti, desideri e forme di relazione quando tutto ciò diventa un tira e molla con un passato che si stenta ad abbandonare, misura di sicurezza imprescindibile e allo stesso tempo deviante per l’incredibile distanza che lo rende irrecuperabile.
Per Baudrillard le società postmoderne sono caratterizzate dalla de-differenziazione, dal “collasso” delle distinzioni, o dall’implosione. Nella società della simulazione i campi dell’economia, della politica, della cultura, della sessualità e del sociale implodono tutti quanti l’uno dentro l’altro. In questa miscela implosiva, l’economia è plasmata dalla cultura, dalla politica e da altre sfere; invece l’arte, un tempo una sfera di potenziale differenza e opposizione, è assorbita nell’ambito economico e politico, mentre la sessualità è ovunque. Tale premessa è necessaria ogni qualvolta vi sia il bisogno di comprendere nel profondo ogni questione che riguarda i nostri comportamenti in funzione di un’astrattezza delle istanze e delle risposte, altrettanto astratte, che governano processi sempre più autoreferenziali nel sistema economico planetario, che legittima con assunti di assolutezza la propria verità.
L’omaggio a Levi Strauss è implicito se si pensa di dover rappresentare un punto di vista critico rispetto alle vecchie categorie occidentocentriche e che si dispongono ancora come unico universo di senso. Il sistema capitalistico, nella sua furia sistematica, implode e risorge imponendo opzioni impensabili per un economia di mercato che si teorizza autoproduttrice di anticorpi, la cui autoregolamentazione, si era detto fino a un po’ di tempo fa, funzionava da garanzia per tutti gli stakeholder sociali.
Niente di più falso e di più debole visto l’avvitamento sistemico manifestato negli ultimi anni da un capitalismo finanziario strutturato sull’infondatezza del credito, l’insufflazione delle possibilità di ottenere il tutto, senza corresponsione di responsabilità e garanzie, nella accecante copiosità dei simulacri di senso, imposti senza limite apparente e da un sistema che si corrode al proprio interno fino al collasso planetario. E dopo? Dopo il racconto recupera vecchie categorie irrapresentabili, non adeguate per il livello di iperbolicità che il sistema culturale ha raggiunto, destrutturando ogni vera possibilità umanistica, con gli oggetti a misurare i soggetti, gli uomini appesi all’iperreale che non sanno più giustificare tutto ciò, se non con il falso esercizio del ritorno a una serie di prescrizioni sorpassate dal postmodernismo, àncora salvifica e immensamente surrettizia che ristabilisce apparentemente le coordinate per uno sconfinamento vorace e proditorio che non verrà punito, che non può essere riformato, perchè sostanza e limite del governo degli Stati.
Dalla new economy al new deal; dalle alchimie degli investimenti derivati al recupero dei rapporti tra capitale e produzione; dalla coscienza del lavoratore camaleonte, senza fissa dimora, alla rivendicazione del posto fisso, cardine del rapporto con un capitalismo ante litteram, che non esiste e non ha più ragione di essere così come ci è stato insegnato e che per il momento, solo per il momento deve fare ricorso alle risorse pubbliche degli Stati, anche quelli per cui l’ingerenza nei processi privati ha sempre rappresentato il dettato e fede insospettabile, ma che al momento giusto diventa derogabile per rianimare una macchina che non può cancellare tout court la propria ragione e rimodellare le nostre coscienze.
Quando abbiamo visto le scene di Manhattan, del fallimento di Lehman Brothers e di altri istituti finanziari, ciò che è rimasta impressa nelle nostre coscienze è stata la sensazione della disfatta, della rappresentazione di un altro crollo, crollo virtuale ma talmente potente da destabilizzare ogni nostra immaginata certezza, abbiamo visto gente scendere le scale dei grattacieli che si difacevano, non sotto l’impatto dei boing, ma dell’inarrestabile follia che ha pervaso ogni centimetro dei nosti tessuti e abbiamo sperato, sperato che ciò costituisse la fine del mondo, di un mondo destituito da ogni rapporto con il reale, sospeso nell’immaginifico universo della finzione e ci siamo chiesti se ciò potesse rappresentare l’inizio di un nuovo umanesimo, ma un attimo dopo abbiamo intuito che quella speranza era un’altra visione, un miraggio che ha subito perduto la sua consistenza e abbiamo ricominciato il cammino distratto, nel deserto del superoggetto, nell’inarrestabile regno della sorpresa, del capovolgimento, nell’allucinazione di una prossima immortalità.
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