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La “dolce morte” nell’ottica della spiritualità laica

La “dolce morte” nell’ottica della spiritualità laica
Settembre 23
15:39 2020

Recentemente, forse in seguito alla incertezza sulla vita  dovuta all’incremento di mali e malanni,  che è causa di scoramento e di desiderio di farla finita, la Santa Sede è tornata sul discorso dell’eutanasia.  In un documento pubblicato sulla Congregazione della Dottrina della Fede, il Vaticano ribadisce la condanna nei confronti  dell’eutanasia definendola “un atto omicida che nessuno può legittimare”.

 

Durante la conferenza Stampa  “Samaritanus bonus”,  tenuta il 22 settembre 2020, sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita,   sono stati ribaditi i concetti e le opinioni del Vaticano sulla pratica del suicidio assistito: “L’eutanasia non rappresenta un atto di compassione”.

(http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2020/09/22/0477/01073.html)

Tutto il discorso sulla accettazione volontaria della morte si può dire che inizi con Socrate e con la sua decisione di sottomettersi  all’intossicazione, ovvero di non fuggire alla condanna inflittagli dagli ateniesi per avvelenamento con la cicuta.   Ai suoi tempi alcuni dei discepoli stretti gli consigliarono di non accettare la sentenza e di salvare la pelle scappando da Atene ma il filosofo imperterrito suggerì: “Prima o poi la morte arriva comunque, ora se io fuggissi per amore della vita negherei il valore della democrazia e del verdetto popolare liberamente espresso, inoltre non conoscendo ciò che mi attende nel  “post mortem”  la curiosità innata del ricercatore che è in me  mi spinge a non scantonare da questa esperienza,  che  viene spontaneamente. Se dopo la morte non vi è più nulla  potrò godermi un meritato riposo se invece vi è ancora coscienza ed esistenza allora potrò    finalmente corrispondere con spiriti nobili ed elevati ed avere una interessante condivisione sul significa dell’Essere. In entrambi i casi perché preoccuparsi?” Con queste parole serene Socrate bevette l’infuso mortale e se ne  morì descrivendo dettagliatamente le sue esperienze  fisiche e psichiche in ogni momento del processo di dipartita.

Dal punto di vista etico e laico, l’eutanasia   ha una sua  dignità morale, non solo nella cultura occidentale ma anche in oriente, ove è accettato il “suicidio” onorevole, vedi il caso  dell’auto sbudellamento (harakiri) in Giappone, o l’ascesa sulla pira degli asceti ancor vivi in India (ed a questo proposito ricordo la storia del guru prelevato da Alessandro Magno  nella piana gangetica e che si  immolò sul fuoco ardente poco prima della morte di Alessandro stesso).

 

Anche in Cina e nella cultura indioamericana la “morte sacrificale” viene accettata come un fatto normale, addirittura nella storia mesoamericana si narra che la creazione del mondo avvenne proprio in seguito al “sacrificio” di due importanti Dei (uno brutto ed uno bello) che si gettarono nel fuoco primordiale e da ciò fecero nascere la vita sulla terra.
Allo stesso tempo, sempre da epoche immemorabili, viene posto l’accento sulla gravità del suicidio come atto di regressione karmica, ad esempio nella tradizione cristiana ai suicidi è comminato un girone infernale pessimo e persino in India ed in Tibet ai suicidi vengono riservate numerose reincarnazioni espiative (come ciechi o malati gravi).  Ma in questo caso si parla di atti di suicidio in cui si vuole fuggire dal proprio dovere karmico, non si ha il coraggio cioè  di affrontare le prove che la vita ci manda e quindi queste prove devono essere riportate davanti all’anima. Insomma c’è sempre il dubbio che  la morte auto- indotta sia una specie di fuga o noncuranza  verso la vita, come nel caso di morte causata da eccessi e vizi,  in tal senso persino la persecuzione terapeutica -che tiene in vita il malato a “tutti i costi”-  potrebbe esser vista come una forma karmica espiativa.

Mentre, dal punto di vista del giuramento di Ippocrate,  la cosiddetta “donazione” degli organi non è altro che un omicidio legalizzato, infatti molti anestesisti si rifiutano di certificare la “morte cerebrale” di infortunati (soprattutto giovani) ai quali vengono poi espiantati degli organi sani, poiché  tali asportazioni possono avvenire solo su “un organismo  vivo”  -il cuore della vittima  ancora batte-  mentre l’esame delle onde pensiero segnalanti l’attività cerebrale  indica  una linea piatta. Il che non significa però che tale “morte cerebrale” sia reale decesso, infatti la stessa condizione si manifesta ad esempio in uno stato di assorbimento profondo, come il samadhi dello yogi, ma già sappiamo che dal samadhi si può tranquillamente uscire e riprendere le funzioni vitali… Dal che se ne deduce che “materialmente” la donazione degli organi avviene “uccidendo” il donatore.

Queste ipocrisie e falsità mediche sono poi  “pareggiate” dal punto di vista moralistico nel mantenimento in vita di un corpo malato irrimediabilmente che viene mantenuto artificialmente “vivo” come tanti casi eclatanti descritti dalla cronaca.

Lasciando  da parte la “morale” resta comunque aperto il discorso della legalità e del diritto umano,  in Italia come nel resto del mondo  il legislatore decide (in teoria) su base  razionale e quindi la normativa  è ancora aperta sia pur confusa.

 

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