La discrezione di giudizio nel matrimoniale religioso
Costantemente nelle sentenze ecclesiastiche relative alle nullità matrimoniali per incapacità rispetto al consenso, si trova asserito che, attesa la natura del matrimonio, come società perpetua tra uomo e donna per la procreazione della prole, si richiede un più maturo giudizio di quello che basta per peccare mortalmente. Si è fatto anche ricorso ad una analogia con la maturità di giudizio, richiesta per gli altri contratti o per la professione religiosa.
La giurisprudenza canonica però ha ritenuto che, considerata la natura del matrimonio comportante oneri gravosi e perpetui, superiori a quelli provenienti da altri contratti, per prestare il dovuto consenso matrimoniale si richiede una maggiore maturità di giudizio, di quella necessaria per stipulare gli altri contratti. Quando però si è trattato di specificare più determinatamente il grado di maturità richiesta per il consenso matrimoniale, anche questo criterio analogico non si è dimostrato sufficiente. Infatti i casi presentati in giudizio divenivano più frequenti anche per una più approfondita indagine delle perturbazioni psichiche, e si richiedeva quindi una maggiore precisazione del grado della discretio iudicii necessaria per il valido consenso al matrimonio. Nell’esame dei casi specifici e più difficili da valutare, si è quindi fatto ricorso a più concreti principi della determinazione della maturità di giudizio richiesta. Il principio dell’analogia, sia di un minimo, come la maturità richiesta per il peccato grave, sia di una maturità maggiore, come la maturità richiesta per gli altri contratti o per la professione religiosa, rimaneva sempre inadeguato a determinare la maturità di giudizio richiesta per il consenso al matrimonio, che aveva una natura del tutto propria implicante impegni gravosi per tutta la vita. È stato così ritenuto più qualificante il principio del criterio subbiettivo e concreto, che maggiormente riflette direttamente la discretio iudicii matrimonio proportionata. Il principio della valutazione diretta del criterio subbiettivo psicologico concreto per il matrimonio comporta la necessaria importanza della facoltà critica, perché colui che contrae matrimonio possa prestare il dovuto consenso. L’intelligenza, pur essendo sostanzialmente la stessa in tutti, tuttavia differisce negli individui, nei quali si evolve con l’età, per quantità e qualità secondo le disposizioni somatiche, e fin dall’adolescenza risente ed è qualificata dagli elementi noetici e sociali. Si distingue la facoltà conoscitiva, la quale consiste nell’operazione astrattiva dell’universale dal particolare, ossia la cognizione del vero, e la facoltà critica, la quale è la facoltà di giudicare e di ragionare, ossia di affermare o negare qualcosa rispetto ad altro e di paragonare i giudizi per trarne dei nuovi. Tale facoltà critica appare più tardi nell’uomo rispetto alla facoltà conoscitiva. Quindi per la responsabilità degli atti si richiede nell’individuo la facoltà critica e per il matrimonio una maggiore maturità di giudizio. La discretio iudicii matrimonio proportionata non si risolve in una tautologia, ma, anche se non precisa un quantum, perché non esiste una possibile misurazione del giudizio critico, però sta bene a significare che la maturità richiesta non si riduce a semplice mancanza di ignoranza della natura del matrimonio e che si richiede nell’individuo contraente una rispondenza soggettiva psicologica adeguata alla natura del matrimonio, che è un particolare contratto che impone obbligazioni perpetue ed onerose. La valutazione quindi del contraente, fatta con vera discrezione e maturità di giudizio, deve essere capace di considerare la natura del contratto matrimoniale, come obbligante per una società permanente dei coniugi, uomo e donna, ai fini della procreazione della prole.
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