La differenza tra “giudizio” e “discriminazione”
Ogni religione è stata “creata” per confondere, mentre per fare chiarezza occorre distinguere, rinunciando a posizioni precostituite di pensiero: “Solve et coagula” – “Per orientarti nell’infinito, distinguer devi e poscia unire” (Goethe). Ma attenzione un conto è il giudizio ed un altro la discriminazione…
Non rifiuto l’esistenza di un “Dio” assoluto ed onnipervadente che, essendo la sola presenza reale, comprende in Sé ogni aspetto del manifesto e dell’immanifesto.
Il dio, meglio definito “arconte”, delle religioni monolatriche è semplice assunzione e proiezione mentale, come lo è d’altronde ogni descrizione personale dell’Uno. Poiché l’Uno non può asserire l’Uno, poiché nessun altro v’è…
La “religione” in se stessa non sarebbe colpevole ma lo sono tutti i sacerdoti, papi, rabbini e mullah che hanno utilizzato il moto naturale del “ritorno” al Sé (o Dio)! Essi hanno compiuto il più grande inganno ed imbroglio, verso se stessi ed il loro prossimo, essi hanno in verità svolto la funzione ingannatrice “dell’invidioso maligno…”, separando ciò che è inseparabile per poi pretendere di volerlo ”ri-unire” attraverso il perseguimento di un dettame religioso ed una “salvezza” riservata ai “credenti” della religione stessa.
In verità non v’è alcun obbligo a restare impantanati in un “credo” (il momento che ne abbiamo capito le conseguenze e le implicazioni). Solo colui che insiste nel voler credere è compartecipe e succube di quel credo.
Eppure, non è il credere un semplice pensiero, una opinione? Quindi perché restare avvinghiati ad un qualcosa che è mera illusione, un simbolo duale della separazione?
E non è detto persino nel vangelo, “beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli”? Ed in questo caso non è forse lo “spirito” della caparbietà e dell’illusione di credersi separati che impedisce l’accesso a quel regno?
Personalmente non entro nel merito del discorso sulla veridicità delle religioni. Dal punto di vista della laicità di pensiero il credere è una libera scelta personale, quindi: “de gustibus non est disputandum!”
Ma vorrei aprire una fessura discriminativa. Il credere è statico, l’esperimentare è dinamico. Il credere è il risultato della memoria e dell’accettazione cieca, l’esperimentare è il risultato di una azione e di una discriminazione selettiva.
L’unica verità incontrovertibile è quella corroborata dalla propria esperienza… ma a meno che non si abbia una realizzazione diretta interiore affermare di credere in una religione è un esercizio mentale di volontà ed è privo di ogni sostanzialità. Cosa diversa nel caso di esperienza diretta o “illuminazione”. Ma siccome la “realizzazione” avviene nel Sé, possiamo tranquillamente affermare che questa “verità intrinseca” è l’unica reale verità, tutto il resto essendo semplice proiezione mentale.
Abbandoniamo, dunque, la vanità e l’arroganza separativa e compiamo senza paura il “ritorno a casa”, nel riconoscersi in ciò che è…
Each religion was “created” to confuse, while to clarify it is necessary to distinguish, renouncing pre-established positions of thought: “Solve et coagula” – “To orient yourself in infinity, you must distinguish and then unite” (Goethe).
But be careful one thing is judgment and another discrimination …
I do not reject the existence of an absolute and all-pervading “God” who, being the only real presence, includes in himself every aspect of the manifesto and the unmanifest.
The god, better defined “archon”, of monolatric religions is simple assumption and mental projection, as indeed is every personal description of the One. Since the One cannot assert the One, since no one else is there…
“Religion” in itself would not be guilty but all the priests, popes, rabbis and mullahs who have used the natural motion of the “return” to the Self (or God) are guilty! They have made the greatest deception and cheating, towards themselves and their neighbor, they have actually performed the deceptive function of “the envious evil”, separating what is inseparable and then claiming to want to “re-unite” through the pursuit of a religious dictate and a “salvation” reserved to the “believers” of the religion itself.
In truth, there is no obligation to get bogged down in a “creed” (the moment we understand its consequences and implications). Only the one who insists on wanting to believe is a participant and dominant of that belief.
Yet, isn’t belief a mere thought, an opinion? So why stick around something that is mere illusion, a dual symbol of separation?
And is it not even said in the Gospel, “blessed are the poor in spirit because of them is the kingdom of heaven”? And in this case, isn’t it the “spirit” of stubbornness and the illusion of believing oneself separate that prevents access to that kingdom?
Personally, I do not go into the substance of the discussion on the truthfulness of religions. From the point of view of secularism , belief is a free personal choice, therefore: “de gustibus non est disputandum!”
But I would like to open a discriminatory crack. Belief is static, experimenting is dynamic. Belief is the result of memory and blind acceptance, experimenting is the result of selective action and discrimination.
The only incontrovertible truth is that corroborated by one’s own experience … but unless you have a direct inner realization, claiming to believe in a religion is a mental exercise of will and is devoid of any substantiality. Different thing in the case of direct experience or “lighting”. But since “realization” takes place in the Self, we can safely say that this “intrinsic truth” is the only real truth, all the rest being simple mental projection.
Let us abandon vanity and separative arrogance and fearlessly make the “return home”, in recognizing ourselves in what it is…
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