La democrazia maltrattata
La celebrazione di un referendum è considerata una delle forme più alte di esercizio della democrazia. Questo, sulla modifica di molti articoli della Carta Costituzionale, è servito a dar sfogo ad ogni peggiore difetto delle due ‘fazioni’ in competizione. Tale deragliamento nasce, oltre che da ragioni storiche e da altre contingenti, da un principale peccato originale che è racchiuso nel detto popolare “la gatta frettolosa fa i figli ciechi”. In effetti si sarebbe dovuto evitare di giungere a dover celebrare un referendum di tale natura. La pur breve storia della nostra Repubblica insegna che ogni volta che si è preteso di modificare la Costituzione con la maggioranza assoluta del Parlamento (la Carta prevede la maggioranza dei due terzi perché la modifica sia definitiva e non soggetta a referendum) le cose sono andate male: le norme modificate, o si sono rivelate peggiori delle precedenti, o sono state cancellate dalla volontà popolare, appunto mediante referendum. Anche stavolta i propositori non ha avuto la pazienza e l’abilità di ricercare il consenso qualificato, cosa che comporta il ricorso al referendum, e comunque una ferita all’intero corpo sociale (la ratio della maggioranza dei due terzi è elementare e tendente ad ovviare a tale spaccatura).
Dunque sono oltre sei mesi che l’intera Nazione è avviluppata in un confronto continuo che, sviscerate in tempi ragionevoli tutte la questioni di merito, si sta declassando a livello di un festival canoro: ognuna delle due parti canta sempre lo stesso ritornello, ma più spesso con stonature di note e storpiature di testo che, anziché esprimere la propria volontà in ordine alle norme oggetto di referendum, si risolve in un florilegio di insulti reciproci e in una sequela di argomentazioni contraddittorie, che sbalordiscono e spaventano se si considera che provengono da una parte ‘eletta’ del (e dal) popolo. Così il giudizio diventa solo politico o viscerale: pro o contro il Governo, simpatia o antipatia di questo o quel leader, giovani contro anziani, riformatori contro passatisti. Il brutto di tali posizioni nominali è che sono ribaltabili: i riformatori si dimostrano passatisti perché tendono a conservare le solite leve e alchimie del potere (Gattopardo docet) mentre i passatisti hanno lo sguardo in avanti volendo bloccare una riforma che rischia di creare più problemi che benefici.
Nel merito sia la posizione di chi intende votare sì o di chi intende votare no ha molte ragioni valide. Per questo il dover dare un giudizio sull’intero ‘pacchetto’ sembra già un errore in partenza: è lecito pensare che il ricorso del presidente emerito Onida che tendeva a promuovere uno ‘spacchettamento’ per quesiti omogenei (secondo la giurisprudenza costituzionale) sia stato bocciato dal Tribunale di Milano anche, se non solo, per convenienza politico-tempistica. Forse ci sarebbero stati più sì e più no convinti qualora le domande fossero state meglio poste. Oggi invece siamo al ‘sì e poi si vedrà’ o al ‘no anche se’, perché, come in molti altri casi della vita, i dettagli sono determinanti. Infatti quasi tutti sono d’accordo nell’eliminare il bicameralismo paritario, ma i dubbi crescono sul modo, in particolare sul fatto di mantenere in vita un Senato in una articolazione che sembra rappresentare un vero mostro giuridico-costituzionale. Non si comprende perché i senatori siano sottratti all’elezione diretta ma nominati in secondo grado dai e tra i consiglieri regionali (e con quali criteri?) e ancora di più perché l’eletto per fare il sindaco (attività già molto gravosa) debba svolgere un’altra delicata funzione (il nuovo, ibrido, progetto di Senato prevede comunque una partecipazione alla formazione delle leggi) per giunta senza emolumenti (vi sarà di certo una lesione giuridica, sia essa costituita da un lavoro senza retribuzione ovvero dall’abbandono dell’Ufficio principale). A tali eccezioni si ribatte: intanto prendiamo quello che c’è di buono, per esempio la fiducia data solo dalla Camera e la riduzione del numero dei senatori (perché non anche dei deputati? Forse per assicurarsi maggior consenso al sì?) poi si vedrà come vanno le cose. Argomentazione di scarsissimo pregio che vorremmo confutare con una similitudine ‘pedestre’. Mettiamo che si vada dal calzolaio chiedendogli di rimettere suole e tacchi e che al ritiro i tacchi risultino staccati e non utilizzabili; il calzolaio, meno addottorato degli illustri legislatori ma fornito di normale raziocinio e buon senso, non dirà mai “va béh, ma intanto prenda le scarpe perché almeno le suole vanno bene”. Ecco, la grave mancanza di non aver separato alcune domande essenziali ci porterà forse ad avere ancora una volta una riforma malfatta e comunque fortemente divisiva. Ciò anche in dipendenza del terrorismo mediatico messo in atto da ciascuna parte per cui la vittoria del sì porterà la soluzione miracolosa di ogni problema oppure una sorta di nuova dittatura, mentre viceversa la vittoria del no farebbe crollare il Paese o invece lo libererebbe da tentativi reazionari. Probabilmente non accadrà nulla di tragico in ogni caso. Però la democrazia, come spesso avviene, sarà stata ‘pilotata’ o comunque maltrattata. Col rischio che la cosiddetta maggioranza silenziosa diventi maggioranza ‘paurosa’ e per niente libera.
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