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La cultura nel Medioevo

Marzo 31
22:45 2013

Il Medioevo è un periodo storico di cui si è molto parlato. Citato anche come età della Chiesa, in quanto questa aveva un ruolo centrale, influenzando la vita sociale, politica e culturale. Con il termine clericus si indicava genericamente, nel Cristianesimo, chi era entrato a far parte del clero, contrapposto al laicus, che invece era chi non facendone parte doveva mantenersi aldiquà dell’iconostasi (oggi balaustra), che divideva gli officianti dai semplici fedeli. Per estensione i due termini vennero poi usati per indicare nei primi le persone istruite e, al contrario, nei secondi le persone prive di istruzione, spesso analfabeti. Nella società medievale vi era una suddivisione del mondo secondo una piramide, con al vertice gli oratores – monaci e sacerdoti -, di seguito i bellatores – signori e cavalieri – e, infine, i laboratores – servi della terra -. Vigeva una hyerarchia: «Ognuno al suo posto», scrive un monaco, «in un ordine a gradi voluto da Dio,

ognuno ha un compito e un fine: i monaci (horatores) sono come le pecore che danno latte alla lana; i signori (bellatores) come i cani che difendono dai lupi le pecore e i buoi; i servi (laboratores) come i buoi che lavorano la terra per tutti». Un’importante suddivisione delle classi sociali avveniva tra gli uomini litterati, quelli che conoscevano il latino e illitterati, ovvero l’insieme di idiotae, «quelli che si accontentano di conoscere soltanto la rozza lingua madre che hanno ereditato nascendo». I testi venivano scritti in latino, compito dei predicatori era, quindi, quello di portare agli idiotae la parola di Cristo in una lingua comprensibile, il sermo vulgaris, il latino parlato «da tutte le classi sociali con infinite sfumature». Nella nostra società multietnica stanno prendendo il sopravvento le lingue straniere, in particolare l’inglese. L’italiano sembra ormai una lingua volta al declino, così come l’importanza della cultura. Nei nostri giorni, pur avendo una società alfabetizzata pochi amano leggere. Le pubblicità e i massmedia offrono altri spunti per occupare il tempo libero. Siamo tartassati dalla propaganda di centri del benessere fisico e viene meno lo stimolo ad incrementare il benessere mentale attraverso la lettura. Poesia, narrativa, arte sono campi molte volte ritenuti noiosi e rifiutati. Si sottovaluta che all’interno di queste categorie viene racchiusa la nostra origine. I libri contengono un sevatoio inesauribile di esperienze, storia e insegnamenti. Molto spesso, si scopre in un libro qualcosa racchiuso dentro il nostro intimo e si ritrova in esso la chiave per sbloccare alcune situazioni personali. In un libro si possono trovare parole che vorremmo esprimere e non sappiamo come fare. Regalare un libro potrebbe anche essere un modo per lascirlo parlare al nostro posto. Ancora, nei libri si ritrova tutta la nostra storia passata, la nostra discendenza e le tracce di vite meritevoli di essere ricordate. Ed è proprio nella cultura classica che spesso ritroviamo frasi ancora attuali. Cicerone, nel I secolo a.C. diceva: “Tributa tolerare“, “famem tolerare“, “vitam tolerare“. Tutti termini adoperati per indicare la tolleranza di chi subisce carichi fiscali, sopportare la fame e il peso della vita. Etimologicamente la parola tollerare deriva dal latino “tòlero” e viene tradotta in sopportare, rinunciare ad opporsi, soffrire, subire, resistere. Termine sempre ricorrente nel linguaggio della politica, della sociologia, dell’etica sociale, della teologia e della filosofia. Sembra paradossale come parole pronunciate nel I secolo a. C. siano ancora oggi di uso comune, adoperate per dare espressione ad un male della nostra società. Parliamo comunemente di crisi e cos’è nel concreto se non un problema di tasse continue da pagare. Crisi economiche che conducono parecchi italiani a non arrivare a fine mese e a recarsi alle mense dei poveri, per poter consumare almeno un pasto. Sempre più disoccupati e famiglie che si ritrovano a fronteggiare un peso inaudito, numerosi sono già stati i casi di suicidi. Dopo secoli di sviluppo e progresso, siamo giunti ad un’evoluzione che non riesce a riprendere il timone della nave, forse perché troppi hanno seguito venti sfavorevoli alla massa? Basterebbe guardare la storia per analizzare cause e conseguenze, prima di attuare scelte. Viviamo, però, in un paese in cui la cultura viene sottovalutata. Che cos’è la storia se non la nostra fonte da cui attingere informazioni su successioni di cause ed eventi che hanno segnato lo sviluppo di intere popolazioni? Basta pensare alle popolazione della Mesopotamia. La presenza di corsi d’acqua comporta ricchezza, in quanto rende fertili i campi e scaturisce tutto un processo di causa-effetto che comporta lo sviluppo economico di un intero paese. Oggi, invece di sfruttare al massimo le nostre risorse e conoscenze ci ritroviamo ancora una volta a pronunciare le parole ci Cicerone. In una società in cui quello che rende fertile la vita è il denaro la crisi economica sta portando aridità. Se una volta era la presenza di corsi d’acqua a portare vita, oggi è il lavoro il nostro pozzo, prosciugarlo significa togliere la vita stessa. Se manca il lavoro il mondo si arresta e il benessere crolla e invece di progresso si ha il regresso.

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