La “crisi”
Crisi, crisi, crisi … veramente non se ne può più. Oggi dai mass-media e dai giornali non si sente che parlare che di “crisi”: degli alloggi, economica, dell’auto, del matrimonio, dei valori, della società, interiore, della scuola, della politica, e chi più ne ha più ne metta. Quando si parla dell’ambiente e del clima si usa, invece, l’aggettivo “cambiamento”; ma non dovrebbe esse-re usata la stessa parola “crisi” (dal greco Krìsis), che significa, per l’appunto, cambiamento? O forse si vuole far intendere che “crisi” appartenga soltanto alle attività umane della nostra epoca e non, anche, a ciò che accade in natura? Eppure la nostra Terra ne ha sofferte di “crisi” nei suoi miliardi di anni! E perché non si mette in evidenza il fatto che la storia dell’uomo e delle civiltà del passato è piena di “crisi”? Forse l’Uomo di Neanderthal non si trovò in “crisi” di fronte all’avvento dell’Uomo Sapiens? O la caduta dei grandi imperi, le invasioni barbariche, il lungo periodo del Medio Evo in Occidente e le sue ricorrenti pestilenze non portarono, di conseguenza, ad una “crisi”? A questo punto, attenzione: la parola “crisi” non sta a significare che tutto è per-duto oggi o quantomeno nulla avverrà di buono domani. La storia ce ne dà infiniti esempi: dopo il periodo medievale e dopo ogni pestilenza, in Europa, la vita riprende nelle città più e meglio di prima. Nel passato, la decadenza politica di un impero, di un regno o di una città-stato trascinava inevitabilmente con sé l’economia, il commercio e la finanza, ma oggi può anche essere il con-trario. Nell’antichità il potere politico era tenuto saldamente in mano da un re, da un’oligarchia o da un dittatore – a seconda del tipo di stato – che controllava, di conseguenza, l’economia, il commercio e la finanza stessi. Ciò portava ad una stabilità sociale che durava fino a quando non si manifestava una “crisi”; va tenuto, però, presente che nelle epoche precedenti la struttura so-ciale era prettamente contadina con un artigianato a basso profilo tecnologico e che, quindi, l’ in-novazione, durante gli anni, procedeva lenta e le persone vivevano dell’essenziale. In questi con-testi le “crisi” dipendevano da avvenimenti esterni o dal “tramonto fisiologico” di una civiltà; per portare un esempio, la Repubblica di Venezia entrò in “crisi”, dopo secoli di storia, subito dopo le nuove rotte tracciate, via mare, dai navigatori portoghesi che aprirono nuove vie di commercio verso le Indie e portarono alla scoperta del “Nuovo Mondo”. Nella nostra epoca – ecco il punto – si assiste a tutto e al contrario di tutto. C’è “crisi” in tutti i rami delle attività sociali, c’è la frene-sia dell’abbattimento dei costi, viene creato il lavoro ad arte: lavoro part-time, a pro-getto, interinale ecc, di modo che il lavoratore rimanga un precario a vita, cosa che per i giovani comporta difficoltà a formare una famiglia e a credere nel futuro; l’economia e il lavoro “migra-no”, a loro piacimento, verso lidi più ricchi di profitti senza controlli da parte dei governi; la tec-nologia “sforna” continuamente nuovi prodotti al solo scopo di rendere obsoleto tutto ciò che po-trebbe ancora essere utilizzato (computer, telefonini, elettrodomestici, automobili ecc.). Come può, in effetti, una media o piccola impresa di qualunque settore, affrontare la spesa di milioni di euro in ammodernamento se poi non vi è lavoro sufficiente e si trova nella necessità di abbattere i costi? In tutto ciò la politica è spiazzata. Si parla poi continuamente, in dibattiti televisivi, di «sfide che ci attendono», di «innovazione» e di «globalizzazione» come portatrici di un futuro ro-seo di opportunità. Ma queste «sfide che ci attendono» per il futuro, da dove traggono origine: da una natura contaminata? Dal fatto che l’economia americana sia in “crisi” di fronte al vertiginoso sviluppo tecnologico-economico asiatico? Dal fatto che l’Europa (CEE) sia afflitta da immigra-zioni di popoli dal Terzo Mondo e che la sua economia sia in affanno? Ai posteri l’ardua senten-za. A tutt’oggi, in un mondo globalizzato, la “crisi” dei mutui subprime negli USA si sta ripercuotendo, con effetto domino, su tutte le Borse e le economie mondiali, con rischi di re-cessione non stimabili nel tempo. C’è solo da sperare che da questa “crisi globale” si esca con un modo più oculato, da parte degli Stati, di fare politica e soprattutto non perdendo di vista la fi-nanza e l’economia. Tutto dipende da ciò che si prefiggerà l’uomo. In caso contrario, il mondo vivrà in una “crisi” perenne.
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