La “Buona scuola”
La legge n. 107 del 2015, altrimenti nota come la “Buona scuola”, varata dal governo Renzi, ha rappresentato la classica “ciliegina sulla torta” di un processo storico ultradecennale (avviato da circa trent’anni, ossia dall’inizio degli anni ’90) di aziendalizzazione e di fascistizzazione della scuola pubblica italiana. È un processo politico e ideologico, che di fatto ha frenato o contrastato le tendenze ed i fermenti più innovativi in senso democratico-partecipativo innescati negli anni ’70 dai “Decreti Delegati” del 1974, dai movimenti di contestazione e di lotta studentesca, a partire dal fatidico ’68. L’inversione di rotta, ossia la reazione autoritaria e gerarchica, si è compiuta a partire in modo particolare dagli anni ’90, con l’istituzione della famigerata “autonomia scolastica”. L’ultima riforma virtuosa nel mondo della scuola italiana, risale al 1990 ed è stata la legge n. 148, che entrò in vigore il 30 giugno 1990. Il ministro che la firmò era l’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che all’epoca era a capo del dicastero della Pubblica Istruzione. Quella legge istituì la struttura dei “moduli”, in cui si prefigurava una pluralità e contitolarità di docenti e si aboliva la figura tradizionale del “maestro unico”, al cui posto subentrarono, nelle classi elementari (non si chiamava ancora “scuola primaria”, alla stregua anglosassone: il lessico è pur sempre indicativo, nel senso che tradisce ed esplicita le implicazioni ideologiche più latenti), tre o anche più docenti contitolari, ognuno dei quali si occupava di un ambito disciplinare differente: l’ambito linguistico-espressivo, logico-matematico e quello antropologico. Fu introdotto per la prima volta l’insegnamento della lingua inglese. Il tempo pieno stava per decollare, superando definitivamente la fase sperimentale. Da quel momento, l’ordinamento istituzionale della scuola elementare in Italia non fu più quello che in tanti avevamo conosciuto da alunni e avrebbe resistito per circa un ventennio, fino al 2008, prima di essere irrimediabilmente “controriformato” dai ministri dei governi a guida Berlusconi, Letizia Moratti e Mariastella Gelmini. La quale ha azzerato l’assetto ed il circolo virtuoso istituito dai “moduli didattici”, che avevano avuto il merito di spalancare il mondo fin troppo angusto della scuola elementare, di aprirlo ad una pluralità di figure professionali, cioè ad un pluralismo di idee, di valori ed esperienze, di metodi pedagogici e di modelli etici, culturali e comportamentali. E non fu un fatto di poco conto. La controriforma Gelmini innescò un’inversione di rotta involutiva, ovvero una restaurazione piena sul terreno ideologico e politico-culturale. Con i disastri inquietanti che abbiamo verificato nel corso degli ultimi lustri.
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