La bici carrozza
Le rondini stavano per approdare
nei giardini inglesi odorosi di lillà e gelsomini
in quell’ equinozio di primavera
Le ammiravamo mentre si affollavano
sulla terrazza della torre ottogonale
alcune si infilavano nelle finestrelle dei bastioni
Le mani tremanti e ossute di mio padre
lanciavano nelle acque smeraldine
i sassetti striati che Elide aveva raccolto
in un sacchetto per noi
Si specchiavano
negli ondeggianti cerchi concentrici
le rondini e i rondinini
prima di approdare, dopo la traversata
Io, in sella alla mia bianchi e lui sulla bici carrozza
cercavamo un vialetto ombroso, asfaltato, per volare
ci piaceva pensare di poter raggiungere Dio
La gara stava per avere inizio
” pronti partenza
dopo l’ ennesimo tentativo di partenza
i nostri sguardi si incrociarono come la perpendicolare
che un tempo aveva legato i nostri destini
Gli chiesi cosa stesse pensando,
mi rispose volgendo il ciglio intimorito all’ irsuto cinghiale:
“Al biancore della luna che illumina la paura quando tutto tace,
ai tetti rotti della città e ai gatti orbi in cerca di cibo
all’ ombra fedele compagna sempre in cerca della luce
Alla bianca nuvola che stinge i colori più vivaci dell’ arcobaleno
al lombrico che si torce e si avvita su se stesso
al ciclico alternarsi del giorno e della notte
e la distanza che intercorre tra le diagonali
Io quella nerità la leggevo nei suoi occhi di cristallo
e lui che non poteva fare a meno di Elide,
mi spingeva a partire
“Dai, pedala, pedala fallo per papà”
Quel sorriso di sole quelle frezze bianche
che lambivano la sua fronte
quelle mani bislenche protese
scacciarono l’ inverno dal mio volto.
La mia anima sopita da barriere di
silenzi e dubbi si librò nel cielo.
Iniziai a volare in sella alla mia bianchi
e mio papà dietro con la bici carrozza
I giardini inglesi lasciarono in me
un animo fiorito, improvvisamente
la libertà del volo sprigionò
il grigio che albergava in me
Avevo vinto e lui aveva vinto con me.
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