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La Bellezza redime?

La Bellezza redime?
Marzo 12
10:01 2010

scuoladiateneTutta la filosofia, da Parmenide in poi, tenta di dare una risposta all’interrogativo fondamentale che caratterizza l’esistenza di ogni individuo: perché la sofferenza? Una battaglia continua tra l’uomo e il tempo, tra l’Essere e il divenire, alla ricerca di una giustificazione razionale che possa spiegare il perché della vita e della sua caducità. Emanuele Severino afferma, infatti, che il primo vero filosofo fu Eschilo, poiché il primo che si pose l’interrogativo sulla sofferenza e sulla necessità di una teodicea che possa attribuirle un senso. Nasce, così, il predominio della Ragione, la sola ad offrire un appiglio nel dilagar senza ordine dell’esistenza, di cui la nostra cultura, figlia di quella splendida civiltà greca, è oramai intrisa e prigioniera. È propria essa, la Ragione, che giustifica l’esistenza e ciò che lo stesso esistere porta inevitabilmente con sé; la sofferenza. Come? Vincendo il tempo e affermandosi fuori di esso. Abbiamo allora il predominio dell’Essere, di ciò che è uno, immutabile, eterno, indivisibile e sempre uguale a se stesso; (è e non è possibile che non sia affermava Parmenide) è la vittoria del Senso, del Logos sul caos incontrollabile di questo eterno divenire che tutto sembra cambiare, mutare e distruggere. Il trionfo dell’Assoluto, ‘il regno di Dio’. Fino a che, un giorno, qualcuno osò affermare che “Dio era morto” e con lui tutti i valori. Quel qualcuno era F. Nietzsche, alla fine dell’800, che decise di gridare al mondo la verità, o la non esistenza della verità, per porre fine a quella grande menzogna che da secoli obnubilava la povera mente umana. Fu così la fine dell’Ancien Regime e l’avvento della rivoluzione intellettuale. Da questo momento in poi non esistono più valori, non esistono assoluti, non esiste il Senso; tutto scorre, tutto diviene, tutto è nel tempo e nulla si dà al di fuori di esso. È l’avvento di Zarathustra e della “Giustificazione estetica”. Si entra allora in una dimensione etica, non più metafico-ontologica, in cui il sensibile, non più l’intellegibile, tenta di dare un senso nella piena consapevolezza di non poterlo raggiungere. Si cerca sapendo di non trovare; è questa l’unica dimensione che ci caratterizza come uomini, in quanto esseri finiti che arrancano nel disordine del molteplice nella speranza di individuare un strada che conduca alla verità. Una verità mai assoluta, mai eterna, una verità con la “v minuscola” che si da nel tempo e che solo da esso trae la sua vera forza. Ecco che allora Zarathustra ride, di un riso nuovo, abbandonandosi nella danza poiché egli si è liberato da ogni assolutizzazione, da ogni vincolo eterno, da ogni metafisica; egli ride di ciò che è immutabile. Il Logos è ormai perduto, tutto è sfondato e senza fondamento. Il pensiero abissale, che la filosofia di Nietzsche ha inaugurato, non prevede nessuna redenzione, se non nel tempo, non più lineare ma circolare (L’eterno ritorno) che fa sì che ci sia la continua ripetizione delle possibilità, dell’altro del dato, per dare ogni giorno un nuovo senso. L’asse speculativo è spostato: non più Dio, non più l’Essere, ma l’uomo in tutta la sua finitezza si trova ora al centro. La redenzione diviene così estetica; è la possibilità di creare, è l’Arte come capacità di produrre liberamente nuovi valori, non più eterni ma divenienti, mai definitivi, mai eterni, ma immersi in un continuo rimando a ciò che si pone oltre, a giustificare la vita e la sua sofferenza. Ecco perché l’opera d’arte, ogni vera opera d’arte, ci emoziona; è per la sua capacità di far intravedere ciò che si dà al di là dei meri elementi formali, ogni volta sotto una nuova luce, non mutando nelle sue forme, ma offrendo di volta in volta un nuovo senso. È la potenza di Dioniso, dell’Invisibile a sprigionarsi in ogni opera, di un che di oltre che non possiamo comprendere (poiché questo implicherebbe una schematizzazione razionale) ma solo sentire, sempre e continuamente in maniera cangiante. L’ arte lascia libero il diveniente, trasfigura il fatto, aprendo nuove possibilità e lasciando all’uomo la libertà di scegliere il proprio senso, uno tra tanti e mai definitivo. Secondo Dostojevski “la Bellezza salverà il mondo” poiché solo essa può redimere, mai assolutamente, ma sempre particolarmente, in un continuo rimando ad un senso ultimo che non sarà mai in grado di cogliere completamente. Nel 900, con la corrente del Modernismo, l’Arte ha rinunciato all’eternità entrando in una dimensione etica, ponendosi il compito di dover esprimere nell’impossibilità di farlo; essa, come ogni uomo, è destinata alla continua ricerca della Verità, ad un continuo tentativo di far trasparire la Cosa in sé e all’inesorabile fallimento .

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