La battaglia di Lepanto – 2
Delle 200 e passa galee della flotta della Lega santa, 105 erano al comando della Serenissima, alcune delle quali costruite a Venezia ma equipaggiate dalle città venete in Adriatico: nel corno sinistro troviamo la galea Leona di Capodistria, la Cristo Risuscitato di Veglia e la San Nicolò di Cherso, galea che il veneziano Venier volle sempre con sé come “bona galea et del novero delle migliori della nostra armata“; la San Giovanni di Arbe nel corno destro con la Donna di Traù e la San Trifon di Cattaro; nel centro la San Girolamo di Lesina e nella retroguardia la San Giorgio di Sebenico. Non c’era la galea di Zara catturata dai Turchi che da poco avevano saccheggiato le isole di Lesina e Curzola, Zara, Durazzo e Valona. Gli abitanti di queste terre venete erano costantemente in guardia contro le scorrerie via mare e via terra: le incursioni via mare si facevano sempre più pericolose non solo per i saccheggi ma anche per gli abitanti catturati e fatti schiavi; assai temuti erano anche gli attacchi dall’interno: ci sono ancora a Cattaro vecchi cannoni rivolti verso l’entroterra, testimonianza che il nemico colpiva anche dalle montagne. Gli abitanti dell’Istria e della Dalmazia, sempre leali a Venezia, parteciparono quindi con fervore ad una battaglia che avrebbe potuto rallentare, se non eliminare, il pericolo che incombeva su di loro. Nella flotta della Lega santa i rematori erano sia forzati che liberi; quelli delle navi veneziane erano nella quasi totalità liberi regolarmente pagati e molti provenivano dall’Istria e dalla Dalmazia: le leggi della Serenissima stabilivano il numero di rematori che ogni cittadina doveva fornire ed il reclutamento avveniva per sorteggio, esonerando le famiglie che avevano avuto morti in battaglia. Al comando della Spagna vi erano circa 60 galee, di cui 37 con equipaggi di Napoli e Sicilia e 23 con equipaggi di Genova; i Medici avevano inviato 12 galee (equipaggiate dai Cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano), lo Stato pontificio ne aveva fornite 12 e 3 i Cavalieri di Malta. Complessivamente erano quarantamila tra soldati e marinai, dei quali diecimila provenienti dai territori di Venezia, e quarantamila circa i rematori, cristiani volontari o forzati cristiani e musulmani. La flotta turca, composta da 250 galee e 100 navi da rifornimento, era comandata da Mehemet Alì Pascià sulla cui nave sventolava il vessillo verde con su scritto 28.900 volte a caratteri d’oro il nome di Allah; il numero dei soldati e dei rematori era comparabile a quello della Lega, e i rematori della flotta turca erano spesso cristiani forzati; i cannoni imbarcati 750, meno della metà di quelli della flotta nemica, 1815. La mattina del 7 ottobre 1571 i due schieramenti iniziarono a disporsi per l’imminente battaglia. La flotta della Lega santa si schierò verticalmente tra la costa greca ed il mare aperto con una disposizione a croce: don Giovanni d’Austria al centro, affiancato dal comandante veneziano Sebastiano Venier e da Marcantonio Colonna, comandante della flotta pontificia. L’ala sinistra venne affidata ai veneziani al comando di Agostino Barbarigo, mentre l’ala destra era guidata dal genovese Gian Andrea Doria. Le sei galeazze veneziane furono poste davanti a questo schieramento. La retroguardia, con le navi di supporto, era guidata dal Marchese di Santa Cruz insieme con le tre galee dei Cavalieri di Malta.
I Turchi si disposero a mezzaluna: al centro Mehmet Alì Pascià, l’ala sinistra guidata da Muhammad Saulak, governatore dell’Egitto, con 56 galee mentre Ulugh Alì detto Occhiali, (calabrese catturato dai turchi e convertito), con 63 galee e galeotte, si trovava di fronte a Gian Andrea Doria. La retroguardia era al comando di Dragut. Quando le flotte giunsero a tiro di cannone, una croce venne levata su ogni galea della flotta della Lega e i combattenti ricevettero l’assoluzione, secondo l’indulgenza concessa da Pio V per la ‘crociata’. (continua)
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