L’ozio
Non vedo quale elogio dell’ozio possa farsi. A me sembra, invece, che sia il nemico numero uno dell’uomo, ma non intendo riferirmi all’ozio come ‘padre di tutti i vizi’. Il danno più grande che l’ozio reca all’uomo è quello di farlo tuffare nella sua solitudine cosmica, nella sua insoddisfazione, nella sua più profonda infelicità. Nulla sappiamo della nostra origine e nessuna certezza abbiamo del nostro destino, e di ciò tutti gli uomini più o meno hanno coscienza e soffrono. E’ una caratteristica psicologica dell’uomo guardare al suo futuro, e provare conforto e stimolo alla vita progettandolo, nel suo immaginario, come foriero di cose gratificanti e piacevoli. Il non avere davanti a sé un progetto di vita pone l’uomo in uno stato d’angoscia interiore: è l’abisso del ‘poi’, il vuoto della fine che si apre davanti a lui e lo terrifica. Malgrado ogni esperienza del mondo reale indichi all’uomo un inizio e una fine, almeno in una certa forma, egli rifiuta la finitezza delle cose ed elabora il concetto d’infinito, in cui, però, si smarrisce per la sua mancanza di delimitazione. E’ la contraddizione filosofica dell’uomo. L’ozio lo fa meditare coscientemente sul suo dramma esistenziale o quanto meno glielo rievoca, gli riporta dinanzi a sé l’immagine dell’immane abisso del suo futuro cosmico. Il lavoro, le relazioni sociali, la vita di tutti i giorni lo distolgono da questo pensiero, riempiono temporaneamente il vuoto abissale che lo attende. E’ come se egli camminasse lungo un sentiero, ai lati del quale si trovano tante cose, belle e brutte, non importa, ma pur sempre aventi una fisionomia ben definita, e in fondo, invece, un enorme baratro di cui non vede i limiti, offuscati, se mai esistessero, dalla nebbia del suo non sapere. Quando l’uomo, percorrendo quel sentiero, è intento ad osservare tutte le cose che sono ai lati, egli non vede il baratro e non prova quel senso di paura e angoscia che s’impadronisce di lui quando distoglie lo sguardo dal sentiero e lo rivolge in fondo ad esso, senza nulla scorgere. La quotidianità, con le sue fatiche, speranze, gioie e dolori è ciò che ci fa volgere i nostri occhi al sentiero della ‘nostra’ vita, l’ozio invece è ciò che ci fa volgere lo sguardo in fondo, verso il baratro “ov’ei precipitando il tutto obblia”[1]. La Religione colma questo baratro con la fede, ma non soddisfa la ragione dell’uomo e nemmeno convince pienamente chi, pur credendo, teme la morte e la celebra con il lutto, anziché con la gioia di chi veramente vede un futuro oltre la morte fisica. La Scienza fornisce spiegazioni razionali, ma non soddisfa il cuore dell’uomo. “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non comprende”, affermava Blaise Pascal, matematico, filosofo e mistico, esempio fulgido di completezza e fusione degli elementi razionali e irrazionali che sono nell’uomo. Per chi non è né totalmente religioso né totalmente razionale, resta pur sempre il dubbio di cosa c’è nel baratro in fondo al sentiero ed è questo dubbio, e non qualunque presuntuosa certezza filosofica, religiosa o scientifica, che ci rende idonei a vivere, cioè a camminare lungo il nostro sentiero.
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[1] G. Leopardi – Canto notturno d’un pastore errante dell’Asia.
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