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L’Islam. Lo sviluppo del diritto nel mondo Mussulmano

L’Islam. Lo sviluppo del diritto nel mondo Mussulmano
Marzo 05
23:00 2015

Figura chiave dell’Islam è Maometto (arabo Muhammad “il Lodato”), messaggero di Dio, colui che ha rivelato il Corano, chiamato anche Sigillo dei profeti, in quanto incaricato da Dio di divulgare il suo verbo tra gli Arabi. Dopo la sua morte (632 d.C.), il ruolo di giudice supremo e di guida politica, passò ai Califfi e poi ai nobili Omayyadi.
Una parte dei mussulmani sostiene che la dignità dell’Imam, il capo della comunità islamica, sia ereditaria all’interno della famiglia di Ali (genero di Maometto) e che spetti solo ai suoi discendenti. Costoro considerano perciò i primi Califfi e gli Omayyadi come usurpatori.
Questi mussulmani si sono divisi in diversi gruppi a seconda della loro posizione nei confronti della successione di Ali e sono stati chiamati Sciiti.
I riti religiosi degli Sciiti – ed anche il loro diritto – si distinguono nettamente da quelli degli altri mussulmani, chiamati Sunniti.
Le lacune presenti nel Corano vennero colmate ricorrendo a dichiarazioni ed azioni che una tradizione ascrive al profeta stesso o ai suoi compagni più stretti. Questa tradizione, chiamata Sunnah, è ancora oggi, dopo il Corano, la fonte più importante del diritto islamico.
Si svilupparono diverse scuole di diritto e, per impedire che il diritto islamico perdesse la sua unicità, lo studioso As-Safi’i , morto nell’820, elaborò la dottrina delle quattro radici del diritto islamico al fine di fornire ai giuristi un metodo unitario per determinare la norma applicabile. La prima radice è il Corano, la seconda la Sunnah, intesa come pratica del profeta ispirata da Dio, che svolge un ruolo fondamentale nell’interpretazione del Corano, mentre la terza radice è As-Safi’i, il consenso che la comunità islamica ha sviluppato su una determinata questione di dottrina morale islamica. Infine l’ultima radice è l’analogia, cioè l’applicazione delle regole contenute nel Corano o nella Sunnah a nuovi casi simili.
I giuristi islamici cominciarono a prendere parte attiva nel diritto. Il metodo precedente basato sulla libera soluzione di controversie, anche se ispirata al Corano e alla Sunnah, non si considerò più ammissibile. Le soluzioni elaborate dai giuristi entrarono a far parte del diritto divino, sottraendole a qualsiasi tipo di controllo critico.
Dal IX secolo si diffuse la convinzione che non fosse permesso ai giuristi elaborare proprie opinioni su questioni di diritto, ritenendo che dovessero limitarsi ad interpretare il Corano e la Sunnah, riconosciuti come testi autoritativi. Si radicò l’immobilismo totale che portò all’affermazione di molte fattispecie. Per esempio, per evitare la conclusione di un contratto di prestito sottoposto ad interesse, contrastante con i principi del Corano, si è affermata la tecnica della doppia vendita, per cui chi chiedeva il prestito ‘vendeva’ al mutuante un oggetto, che veniva ‘rivenduto’ subito dopo all’altro contraente a una cifra superiore e comprensiva degli interessi concordati dalle parti, da pagare alla scadenza del mutuo. Così si sono mantenute ferme le norme e si è fatto in modo che i Tribunali potessero venire incontro ai bisogni della pratica.
Verso la metà del XIX secolo il diritto islamico tradizionale, per far fronte alla concorrenza delle potenze europee in campo politico ed economico, doveva modernizzarsi. Una politica di riforma era però in contrasto con l’immutabilità della dottrina islamica. La legislazione di riforma dell’imperatore ottomano (1840-1876) non trovò particolare resistenza. Si trattava di recepire il Code de commerce e il codice della navigazione mercantile francesi, riguardando materie che difficilmente potevano creare un conflitto con il diritto islamico tradizionale. Ci fu l’introduzione del codice di diritto processuale commerciale.
Altro passo importante fu l’imperatore turco a compierlo, con la promulgazione della Majalla (1869-1876), una legge relativa alle disposizioni patrimoniali. Si trattò di una svolta poiché tali disposizioni vennero riportate sotto forma di articoli.
Dal XX secolo venne riformato anche il diritto di famiglia e delle successioni. Si mirava ad ottenere obiettivi come quello di sottomettere a determinate condizioni il diritto del marito di ripudiare la moglie, concedere anche alla donna il diritto al divorzio in determinati casi, limitare la facoltà dei genitori e dei tutori di concordare i matrimoni dei minori, disincentivare o vietare la poligamia.
In nessun paese, se non in alcuni come la Turchia, il legislatore ha abbandonato i principi cardine del diritto islamico tradizionale.
Non si mira ad occidentalizzare i paesi arabi, né a pretendere che abbandonino un diritto fondato su basi religiose. Si ritiene però che vada trovato un equilibrio tra i principi irrinunciabili, immutabili e fondamentali della religione mussulmana e la necessità di creare un diritto che si possa facilmente adattare alle continue evoluzioni che si verificano nel mondo.

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