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L’ipocrisia dello scudo fiscale

Dicembre 28
10:01 2009

È bello ascoltare la gioia di Tremonti (e del Governo tutto) per il successo del cosiddetto “scudo fiscale”. La storia insegna che uno scudo serve a ripararsi da qualcosa: un attacco, un lancio, un fendente. La domanda sorge spontanea: da cosa ci ripara lo scudo fiscale? Ipocrisia della sorte, lo scudo serve a proteggere chi attacca, non chi difende.
Il successo è notevole, letto in chiave civile significa che gli evasori miliardari sono molti, che chi ruba (non per sopravvivere) per accumulare ricchezza è protetto. Chi delinque in questo paese può disporre di uno scudo, chi lavora cassa integrazione, licenziamenti, chiusure di stabilimenti. È la nostra storia, di Italiani, dove ognuno di noi è pronto a mangiare la fetta di torta, piccola o grande che sia. Come sempre lo scudo fiscale ha due facce, quattro spiccioli nelle casse dello Stato, miliardi puliti nelle tasche di delinquenti (siano essi mafiosi o evasori fiscali). Realtà del rimpatrio di capitali da investire affossati nell’anonimato più assoluto. Garanzia che i soldi producano posti di lavoro è nella teoria del Governo.
Su un binario parallelo si è mossa la lotta all’evasione, stanata dalla Guardia di Finanza nel corso dell’anno. Domanda: se i capitali sono all’estero, chi è finito nelle indagini della Finanza? La seconda linea dell’impresa, piccole industrie, artigiani, commercianti, consumatori senza scontrino? E i grandi capitali perché non sono soggetti ad indagine bensì a scudi fiscali? Negare la crisi è da incoscienti, c’è riuscito solo il Governo italiano. Stiamo uscendo dalla crisi come nazione migliore, peccato ci si dimentichi che il debito pubblico aumenta di circa due miliardi al giorno, ed è arrivato ad oltre 1.800 miliardi di euro, ovvero circa 30.000,00 € di debito per italiano da zero a cento anni. Le notizie hanno le gambe corte, nel 2011 Termini Imerese chiude. Marchionne è esplicito e chiaro: Termini è uno stabilimento in perdita, non siamo più in grado di farcene carico. Dal punto di vista industriale di un’azienda è ineccepibile. Diversa è l’analisi di una storia industriale degli ultimi trenta anni. Lo scippo industriale perpetrato dal “ricco Nord” al Sud degli anni Sessanta e Settanta si racchiude in poche parole: acquisizione di capitali destinati al Mezzogiorno per rimodernare o attivare industrie del nord; vecchi macchinari e monumenti nel deserto (scheletri di cemento) lo sviluppo del Sud; manodopera a buon mercato nella migrazione Sud-Nord. Lo Stato, come qualcuno insinua, non è assente, è intento a intensificare un clientelismo di partito da consolidare nel territorio.
Le industrie italiane tentano degli accordi internazionali. Alfa con Nissan (che fallito il tentativo italiano apre stabilimenti in Spagna, Portogallo, Inghilterra) osteggiata da Governo ed italiani, in nome dell’Italianità. La politica consegna alla FIAT tutti i marchi automobilistici nazionali, impedendo, di fatto, investimenti stranieri e provincializzando lo sviluppo industriale. Il gioco dura poco, neanche un ventennio, la FIAT migra in altri lidi, attualmente produce all’estero l’80% degli incentivi statali (soldi delle nostre tasche), soldi che non risparmia il consumatore. Si configura come un finanziamento camuffato alla FIAT.
È probabile che non ci siamo accorti che la FIAT è un monopolio; comperare una Lancia, un’Alfa, un’Abarth, una Maserati o una Ferrari, ci convince di uno sviluppo industriale diversificato. In Italia, unica nazione europea, vi è un solo gruppo automobilistico: la FIAT, attualmente in grado di produrre il 40% del fabbisogno di automobili italiano, le altre FIAT arrivano dall’estero (produzione a bassi costi). Quando le parole passano inosservate, dice Marchionne: “Per salvare Termini bisognerebbe spostare la Sicilia vicino alla Lombardia e Piemonte“, questa condizione è uno svantaggio competitivo, difficoltà strutturale per lo stabilimento. Per Pomigliano si possono trovare soluzioni (prossimo candidato alla chiusura).
Tutto può essere tradotto in lingua attuale. Il Sud è collegato da un cordone ombelicale fatto di treni, trasporti via mare (l’Italia è una penisola per tre quarti immersa nel mare) ed autostrade troppo obsolete per lo sviluppo industriale. Il ponte di Messina: una grande piazza senza accessi. Forse Bossi aveva ragione: tre nazioni sono meglio di una. A proposito dello scudo fiscale, gli Agnelli dopo aver comperato Tintoretto ed acque minerali, possono riportare il miliardo e mezzo di euro disperso nei paradisi fiscali e goderselo in patria. A finanziare FIAT, cassa integrazione e chiusure di fabbriche, penseranno i cittadini italiani.

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