L’eretico e il cattolico – Intervista di Mauro Daltin a Elio Bartolini
La Kappa Vu, con Mauro Daltin, si è caratterizzata come una coraggiosa casa editrice di frontiera, dedita soprattutto a tematiche politiche e storiche che si sviluppano verso la Slovenia e i Balcani, nella natura di una regione con cultura e tradizioni di confine dove, di regola, la preservazione di un patrimonio multilinguistico è un’esigenza fondamentale. Elio Bartolini, friulano quasi doc, tanto che «tutti quanti dimenticano che c’è stata prima Conegliano», a Codroipo, in Friuli, arriverà bambino e, a parte brevi parentesi tra Roma e Milano, è in questo territorio che trascorrerà la vita intera. Un’esistenza che, purtroppo, si è spenta lo scorso anno, a ottantaquattro anni, nella provincia di Udine, dove risiedeva da lungo tempo. L’intervista di Mauro Daltin non è che un progetto interrotto da questo lutto. Un’ambizione ben più vasta, come chiarisce nella prefazione a sua firma, era insita in questo programma scandito dal sabato pomeriggio. Di fatto, in questo libro, ritroviamo la giovinezza di Bartolini, le sue esperienze formative, la guerra e il primo dopoguerra che lo condurrà ad una riflessione più ampia e articolata, sintesi di ‘ex’ (o exit) e militanza tra ideologia cattolica e comunista filtrate dalla sua eresia intellettuale. Sceneggiatore in alcuni film di Antonioni ed anche in collaborazione con Pasolini ne Il carro armato dell’8 settembre di Gianni Puccini, ci lascia, tra l’altro, una personale e contraddittoria testimonianza di Pier Paolo (anche lui friulano) nella sua intervista. Ma è soprattutto come narratore che Bartolini ha segnato la sua carriera, con romanzi come La bellezza d’Ippolita, Chi abita la villa, Icaro e Petronio, Pontificale in San Marco e il Ghebo, oltre che come saggista e anche poeta. L’eretico e il cattolico, «chiave di tutto il mio pensiero», sono lettura nella memoria, sigillo posto a tergo degli incontri del sabato. Ancora fanciullo, entrò entusiasta in seminario, un posto affollato e dove «bisognava pagare». Tempi in cui il fascismo, venendo a patti, si contendeva/divideva la gioventù con l’Azione Cattolica. Poi la guerra di Spagna, i primi dubbi, le prime letture e riflessioni importanti, di quelle che cambiano la vita. Madame Bovary, Lirici nuovi, l’uscita dal seminario, l’ ‘ex’ che compare e con cui si deve «ricominciare da zero». Pochi soldi in tasca ed ingrati lavori. Durante la guerra ed il periodo universitario si avvale di un approccio con riviste come Primato, Frontespizio e Prospettive, «prima apertura di finestra su un mondo che non finiva con Croce». E sarà attraverso le riviste che, successivamente, conoscerà le sue prime fortune letterarie con la narrativa breve. Quindi la chiamata alle armi, le crisi isteriche, il ricovero ed infine l’8 settembre con l’epilogo partigiano. L’esperienza del carcere e il ricordo della X Mas: «ragazzi dalmati e istriani, antisloveni e antislavi». Risalta, tra aneddoti e osservazioni storiche, un Mussolini «molto meschino», al contrario di Hitler, imbrigliato nella retorica della «non belligeranza», «neologismo per non dire neutralità». In questi colloquiali spunti, resta ferrea l’ottica di una guerra di liberazione antifascista, poco incline alle tentazioni fuorvianti del revisionismo. Resta anche pietà e spazio per il sentimento popolare, come nel caso del ‘cuginetto’, arruolato a Salò e morto ammazzato, mentre era in approvvigionamento, dai gruppi partigiani. Nel primo dopoguerra vive la scomunica di Tito e la conseguente fuoriuscita dal partito, l’ ‘ex’ che ritorna, ciclico, nell’eresia intellettuale. Il cattolicesimo sedimenta come archetipo di tutte le rivoluzioni perché «si sfalda, entra in crisi» e, inevitabilmente, «si trasforma in eresia». «Il marxismo non è fallito, è difficilissimo da mettere in pratica», questo, dopotutto, conclude Bartolini. L’intervistatore, da parte sua, tira in ballo nel finale la figura di un intellettuale che, nel nostro paese, è relegato ai margini; Bartolini aggiunge che è addirittura sbeffeggiato. «Dipende dalla società» che (come dargli torto) si mostra più sensibile al pensiero, come «quella slava». Da noi, annota tra le cause, pesano troppi secoli in cui «l’intellettuale è stato cortigiano».
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