“L’ ARCHITETTRICE PLAUTILLA BRICCI” ( Arch. Claudia Pitolli)
È importante raccontare storie di donne straordinarie, l’audacia delle loro opere, la portata del loro genio, la dimostrazione del loro talento, troppo spesso sminuite, dimenticate, in alcuni casi cancellate dalla storia. Voglio invece dimostrarvi il potere insito in un cuore pieno di fiducia di una donna che con la sua Arte ha cambiato il mondo. Vi racconto allora una storia di una pioniera coraggiosa che ha superato ostacoli in un mondo, quello dell’architettura del ‘600, dominato essenzialmente da grandi architetti uomini quali Bernini e Borromini, una donna, che non può che essere per me che svolgo lo stesso suo mestiere e un padre geometra Leandro Pitolli che mi ha avviato alla professione, fonte d’ispirazione (e spero che lo sia anche per voi).
C’era una volta una ragazza che era “un ‘architettrice” straordinaria. Si chiamava Plautilla Bricci (Roma 1616 – Roma 1705), ed era bella e forte, rinomata “pel valore nell’arte della pittura e architettura”.
Il padre Giovanni l’avviò nella sua bottega, le insegnò i rudimenti del disegno e del colore, la introdusse anche alle basi dell’architettura, le offrì la sua rete di contatti e committenze e permise così alla figlia di mettersi in gioco. Il padre Giovanni era amico del Cavalier d’Arpino. Vicini di casa, i Bricci e l’Arpino vivevano nel territorio di Santa Maria del Popolo, dove il Cesari aveva trasformato la sua casa alla Frezza in un circolo letterario e musicale, frequentato da artisti, eruditi, attori, ma anche artiste, erudite, attrici. Non è quindi difficile per Plautilla introdursi in questo ambiente, forse proprio attraverso casa d’Arpino, ora accademia d’arte, dove le donne erano benvenute. Così come lo erano dal 1607 nell’Accademia di San Luca, che l’avrebbe accolta a partire dal 1655. Dopo una prima educazione artistica ricevuta dal padre Giovanni, poliedrica ed eclettica figura di artista, Plautilla con molta probabilità frequentò l’atelier del Cavalier d’Arpino. Giovanni Bricci promosse la carriera della figlia, inserendola nell’ampia cerchia di amicizie che era riuscito a costruire. Un personaggio chiave nella vita professionale di Plautilla Bricci fu Elpidio Benedetti. Entrato a far parte della Curia con un ruolo secondario, la fortuna del Benedetti fu l’incontro con il cardinale Francesco Barberini, che lo inviò in Francia nel 1635 dove divenne segretario del cardinal Giulio Mazzarino, appena nominato nunzio. Nominato “abbas nullius”, Benedetti fu incaricato, principalmente, di svolgere sia mansioni di ordine legale ed economico, sia di scegliere e acquistare oggetti preziosi ed opere d’arte nella città papale. Tra le tante attività, organizzò il viaggio di Bernini in Francia; sorvegliò l’operato e i progressi dei giovani artisti francesi a Roma, incaricati della progettazione del Louvre; tenne i contatti tra la corte e Pietro da Cortona. L’incontro con Plautilla accadde al suo ritorno dalla Francia, quando, preso dall’entusiasmo di dover individuare giovani e talentuosi artisti da inviare a Parigi, iniziò a cercare tra le giovani promesse. Tra le tante, la sua attenzione ricadde anche sulla giovane Plautilla che muoveva proprio allora i primi passi nel mondo artistico romano. A persuadere l’abate a una scelta così coraggiosa fu la sorella suor Maria Eufrasia della Croce, monaca pittrice carmelitana nel convento di San Giuseppe a Capo le Case, legata da amicizia profonda a Bricci. La scoperta di un’artista donna non avvenne a caso. Nella capitale francese il Benedetti aveva trovato un clima culturale e sociale profondamente diverso da quello romano. Ad affascinarlo fu il movimento delle “femme forte” sostenuto tanto dalle scrittrici protofemministe come Marie De Gournay e Madeleine de Scudéry, che dalle moderne sovrane Maria de’ Medici e Anna d’Austria. Plautilla entra nel mondo artistico nella seconda metà degli anni Trenta, anche se sono pochissime le opere di questo periodo giunte fino a noi. La vera fama le arrise come architettrice, in particolare grazie ai due gioielli della cultura barocca romana che ha lasciato: la cappella di San Luigi nella chiesa di San Luigi dei Francesi e Villa Benedetta, sontuosa dimora poco fuori porta San Pancrazio sul Gianicolo.
Non è ancora chiara la strategia politica che permise alla Bricci il privilegio di poter progettare e realizzare la cappella dedicata a San Luigi IX nella chiesa della nazione francese a Roma. Plautilla veniva chiamata a formalizzare con l’architettura e la pittura una delle pagine più controverse e turbolente della storia contemporanea, rendendo manifesto il ruolo simbolico che essa sosteneva nei rapporti diplomatici tra la corona e il papato. Trionfo di marmi policromi, stucchi dorati, bianchi e colorati, la cappella è un piccolo manifesto della cultura barocca romana, analoga per fasto e creatività alle coeve realizzazioni berniniane o borrominiane, che trova nella pala raffigurante San Luigi tra la Fede e la Storia la gloriosa celebrazione della nazione francese. Il re santo troneggia in primo piano, solleva con la mano destra lo scettro e regge con la sinistra la Croce; alle sue spalle si assiepano soldati che sventolano la bandiera della corona francese e quella dei crociati. Nella parte superiore, angeli e cherubini offrono la palma del martirio al Princeps Clarissimus et Magnus, il difensore della fede all’epoca dei crociati e novello protettore dell’ortodossia cattolica contro l’avanzata protestante-calvinista. Che la scelta di affidare a Plautilla, una donna, un lavoro fondamentale per la nuova politica filopapale della Francia può giustificarsi solo con l’intervento della sovrana Anna d’Austria, benefattrice e sostenitrice di artiste e della creatività femminile, e desiderosa di continuare nella chiesa romana l’opera di matronato iniziata e promossa da Maria de’ Medici al momento della costruzione della stessa chiesa.
Nel 1663 arrivò l’occasione della vita per Plautilla. Elpidio Benedetti la incarica di progettare e seguire i lavori della sua villa, che sarebbe sorta sulla Aurelia Antica, subito dopo Porta San Pancrazio. Distrutta nell’assedio del 1849, la villa rappresentava un unicum nell’architettura civile romana. La forma allungata, con i lati minori prospettanti l’uno sull’Aurelia e, l’altro, verso il Vaticano, le fece assumere l’appellativo de Il Vascello, nome che presto passò a definire anche il toponimo di tutta l’area. Secondo una tradizione letteraria creata dallo stesso Benedetti nel suo libercolo Villa Benedetta, pubblicato con lo pseudonimo di Matteo Mayer nel 1677, l’architetto del complesso sarebbe stato Basilio Bricci. Le guide di Roma del Seicento e Settecento riportano anche, o solo, il nome di Plautilla, accompagnato spesso da attributi di encomio. Un documento conservato all’Archivio di Stato di Roma riporta fedelmente il testo di un’iscrizione fatta incidere in una lastra murata insieme alla posa della prima pietra della villa. Essa riferisce: “JANI TEMPLO/ PROPTER BELLUM INTER QUIRITES ET GALLO / RESERATO / ELPIDIUS ABBAS DE BENEDICTIS ROMANUS/ IN GALLIS DEGENS/ DOMUM IN URBIS JANICULO QUIETI EXTRUXIT/ PLAUTILLA BRICCIA/ ARCHITECTURA ET PICTURA CELEBRIS/ PRIMUM LAPIDEM POSUIT/ ANNO SALUTIS MDCLXIII”, e inconfutabilmente attribuisce la maternità della villa «edificata a similitudine di un vascello sopra uno scoglio» alla Bricci. L’amicizia con il Benedetti e la protezione dei Barberini assicurarono all’artista altri lavori collegati alla corte di Francia. In bilico tra classicismo e barocco, il successo di Plautilla Bricci si può comprendere tenendo in considerazione sia gli stimoli e i modelli culturali che provenivano d’Oltralpe, sia i cambiamenti pedagogici, le mutate condizioni economiche del tempo, nonché la nascita e lo sviluppo di una nuova forma di famiglia. La storia delle donne, delle donne inserite in un ambiente culturale e produttivo, non è, infatti, solo la storia di un’idea da relegare in un settore particolare della storiografia artistica, ma è da ricollegare, in un fittissimo intreccio interdisciplinare, con la storia delle idee politiche, con la storia della famiglia, e della relazione tra i sessi all’interno della famiglia, con l’economia e con la religione. Plautilla ne è un esempio. Seppe muoversi tra la protezione del padre e il sostegno dei suoi committenti; non si sposò e non ebbe figli né prese i voti; visse del suo lavoro, per il quale ebbe anche delle discrete soddisfazioni economiche; creò un modello che, sfortunatamente, gli eventi storici non permisero di sviluppare. Plautilla Bricci condivide con le sue colleghe Artemisia Gentileschi, Virginia da Vezzo, Anna Maria Vaiani, Maddalena Corvina, Giovanna Garzoni, non solo la frequentazione di accademie, ma anche lo svolgersi e lo sviluppo della storia dell’arte. Grazie a l’abate Benedetti, cultore dell’arte che conosceva tutti gli artisti più famosi dell’epoca, dal Bernini a Pietro da Cortona, da Andrea Sacchi a Giovan Francesco Romanelli, Plautilla Bricci riuscì a rendere reali le sue aspirazioni e le sue ambizioni affermandosi come architetta. Tale evento fu tanto più eccezionale da far nascere appositamente per lei un termine nuovo, quello di “architettrice”, per definire il suo ruolo in un settore che fino ad allora era stato, come molti, esclusivamente riservato agli uomini.
Plautilla può essere considerata, a ragion veduta, la prima “architettrice” di tutti i tempi, nella Roma del Seicento è stata l’unica donna ad avere accesso a un mestiere riservato agli uomini. Nel Seicento, infatti, per le donne era particolarmente difficile emergere in qualsiasi ambito dell’arte e della cultura data la società prettamente patriarcale, eppure Plautilla è riuscita nell’impresa che molte giovani del suo tempo hanno tentato invano. Determinata, sapeva cosa voleva e non si dava pace finché non lo otteneva. In effetti dicono che sia questo il segreto per ottenere grandi risultati nella vita. Grazie Plautilla! Grazie Papà!
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