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“L’ ARCHISTAR ZAHA HADID”

“L’ ARCHISTAR ZAHA HADID”
Ottobre 26
08:18 2024

C’era una volta Dame Zaha Hadid Mohammad (Baghdad, 31 ottobre 1950 – Miami, 31 marzo 2016) irachena naturalizzata britannica, che già dall’età di 10 anni aveva deciso che voleva diventare un‘architetta e con la sua determinazione è diventata la più grande archistar e designer del XX e del XXI secolo, nonché protagonista assoluta del Decostruttivismo architettonico. Ebbe la fortuna di crescere in una famiglia moderna, aperta e di grande cultura. Questo le ha dato la possibilità di lasciare l’Iraq per portare avanti a Londra il suo interesse per l’architettura. E in una città come Londra, se sei una mente geniale, hai la possibilità di confrontarti con molte altre menti geniali. Nel suo caso, queste menti erano alcuni tra gli architetti più illuminati del periodo, tra cui Rem Koolhaas, suo professore all’università e primo datore di lavoro dopo la laurea in architettura. Si guadagnò un soprannome: la “regina della curva”, perché gli edifici che progettava erano strutture molto audaci e sinuose. Le piaceva superare i limiti, fare le cose che tutti gli altri consideravano impossibili. Era così che aveva creato un genere di edifici che nessun altro avrebbe mai potuto immaginare. Progettò stazioni di vigili del fuoco, musei, ville, centri culturali, un centro di sport acquatici e molto altro ancora. Nel 2004 Hadid divenne la prima donna a vincere il Premio Pritzker di Architettura, che in architettura equivale a un Premio Nobel. Zaha si forgiò da sola un percorso molto personale. Non aveva mai paura di essere diversa. Uno dei suoi mentori disse che era come: “un pianeta sulla propria, inimitabile orbita”. Sapeva sempre cosa voleva e non si dava pace finché non lo otteneva di se stessa diceva: “Ho sempre pensato di essere potente, fin da quando ero bambina”. Zaha fu la prima donna a ricevere la medaglia d’Oro del Royal Institute of British Architects, uno dei maggiori riconoscimenti al mondo nell’ambito dell’architettura.

Zaha Hadid, intervistata disse per l’Observer che esisteva (ed esiste) un atteggiamento a suo dire addirittura “misogino” del mondo dell’architettura: le donne sono indirizzate su piccoli progetti come abitazioni, edifici pubblici, ecc. mentre sarebbero ritenute non idonee a sviluppare progetti commerciali su larga scala. La colpa non è degli uomini, secondo la Hadid, bensì della società che non si è sviluppata in modo tale da permettere alla donna un rientro al lavoro non problematico dopo un periodo di assenza ed inoltre per un tempo molto lungo i clienti sono stati uomini e tutta l’industria delle costruzioni è stata maschile. Ma da dove nasce la rabbia dell’architetto, tra gli altri, del MAXXI di Roma? Da una ricerca della rivista Architects’ Journal, secondo la quale due terzi degli architetti donna avrebbe subìto discriminazioni sessuali sul luogo di lavoro, mentre il 61% sarebbe convinto che i clienti nell’industria edilizia non hanno fiducia nella professionalità femminile. Le difficoltà del suo essere donna, araba e di religione musulmana non le ha mai negate, ma non le hanno impedito di raggiungere importanti traguardi. Quello dell’architetto è un mestiere difficile per chiunque e la stessa Zaha sconsigliava di farlo a quanti non fossero disposti ad impegno assoluto, continuità, lunghi orari e spirito di sacrificio. Lei ha votato tutta la sua vita alla professione, una scelta personale forte, come quella di non avere figli: senza compromessi così come la sua architettura.

Così l’innovazione nella rappresentazione del progetto di Zaha Hadid stravolge il modo di esaminare lo spazio, cogliendone potenzialità nuove; infonde agli elementi consueti della costruzione dello spazio inedite capacità di comunicazione; imprime alle forme forza, fluidità e dinamismo. Il suo interesse sta nel limite tra geografia, architettura e paesaggio e i suoi progetti integrano la topografia naturale con il sistema costruito dell’uomo, attraverso un percorso di progettazione che sfrutta tecnologie sperimentali.

La sua opera più nota è il Maxxi di Roma, vincitore dello Stirling Prize 2010 (Il Royal Institute of British Architects attribuisce questo  premio annualmente al progettista dell’edificio che ha maggiormente contribuito al prestigio dell’architettura britannica nel mondo). Il progetto fu commissionato dall’allora sindaco Rutelli. La storia del MAXXI inizia nell’autunno del 1997 quando l’allora Ministero per i beni culturali ottiene dal Ministero della Difesa la cessione di un’ampia area nel quartiere Flaminio di Roma, occupata da officine e padiglioni della ex Caserma Montello, in disuso da tempo, con il fine di creare un nuovo polo museale nazionale dedicato alle arti contemporanee per la cui progettazione, nel 1998, viene bandito un concorso internazionale di idee in due fasi. La proposta di Zaha Hadid convince la giuria per la sua capacità di integrarsi nel tessuto urbano e per la soluzione architettonica innovativa, capace di interpretare le potenzialità della nuova istituzione e di dotarla di una straordinaria sequenza di spazi pubblici. Il 20 marzo 2003, con la cerimonia della “posa della prima pietra”, si dà avvio ufficiale ai lavori di realizzazione. Per l’occasione la nascente istituzione prende la sua attuale e definitiva denominazione: MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo.

Il Museo occupa una superficie pari a circa 26 mila mq – ed è articolato nelle due istituzioni MAXXI arte e MAXXI architettura, aventi in comune spazi e risorse per le attività culturali, spazi per le esposizioni temporanee, per gli eventi dal vivo, spazi per la produzione e la sperimentazione e spazi di intrattenimento e attività commerciali, oltre alla presenza di zone destinate all’accoglienza, al bookshop, ai ristoranti e alle caffetterie, auditorium, sale riunioni, parcheggi. Il complesso architettonico è caratterizzato da forme curve, realizzate con strutture in cemento armato faccia a vista, vetro e acciaio, che si intersecano a sbalzo su piani sovrapposti. Con il progetto del MAXXI si supera l’idea dell’edificio-museo. La complessità dei volumi, le pareti curvilinee, il variare e l’intrecciarsi delle quote determinano una trama spaziale fluida e funzionale molto articolata che i visitatori possono attraversare seguendo percorsi sempre diversi e inaspettati.

“L’idea alla base del progetto – dichiarava qualche tempo fa la Hadid – è quella di movimento, un movimento generato da linee di forza che, sovrapponendosi, creano diversi livelli. Lo stesso sito, con la sua forma a L, suggerisce e scaturisce queste linee di forza, dando vita a spazi interni ed esterni che si intersecano, senza rinunciare alla robustezza dell’edificio”.

Hadid ha concepito il MAXXI come un “campus urbano aperto alla circolazione pubblica”; un mondo nel quale tuffarsi piuttosto che un edificio come oggetto firmato. L’idea progettuale è la creazione di uno spazio che non si esaurisca in un percorso lineare, ma si presenti come una complessa rete di connessioni. Flessibilità e controllo delle condizioni ambientali sono le caratteristiche architettoniche di questi spazi.

A chi le chiedeva perché nei suoi progetti non ci fossero linee rette ed angoli a 90° lei rispondeva: “Semplicemente perché la vita non è una griglia. Prendete un paesaggio naturale, non c’è nulla di regolare o piatto, ma tutti trovano questi luoghi molto piacevoli e rilassanti. Penso che dovremmo cercare di ottenere questo con l’architettura, nelle nostre città”.

Questa straordinaria professionista è sicuramente “una luce importante” che brilla in un universo ancora popolato prevalentemente da architetti uomini. Zaha Hadid ha parlato spesso delle difficoltà incontrate lungo la sua carriera dovute al fatto di essere un architetto donna. Perfino nel momento di maggior successo, alla vittoria del Pritzker, la stampa non riusciva ad evitare di sminuire il lavoro di Hadid e deviare l’attenzione criticandola e deridendola su aspetti insignificanti. Si sono sprecati commenti sul suo look, sul suo inglese non perfetto, sul suo carattere duro e via dicendo. Il critico di architettura del New York Times Herbert Muschamp, parlando di lei, l’ha indicata come una “grossa contadina rauca” i cui appetiti terreni le facevano preferire nutrirsi di testicoli di agnello piuttosto che di libri. Il reporter del Guardian Stuart Jeffries suggerì che il prezzo che Zaha Hadid ha pagato per i viaggi intorno al globo e per il suo successo, era quello di essere single e miserabile. A nessun collega maschio sono mai stati riservati commenti del genere.

La determinazione a non lasciarsi mortificare e la forza di combattere per il rispetto che le sarebbe stato dovuto le ha conferito, come da copione, la nomea di “diva antipatica”. Perché noi donne, se vogliamo “di più” e non mostriamo un sorriso addomesticato, abbiamo qualcosa che non va. Possiamo solo sperare che la figura di Zaha Hadid abbia avuto sufficiente forza per fare da “apri pista”, per dare voce a un movimento, che inizia a vedersi, che chiede più uguaglianza e rispetto nel mondo dell’architettura. Che possa dare a noi e alle nuove leve, la voglia di mettersi in gioco con obiettivi ambiziosi e concreti e soprattutto, la caparbietà per non lasciarsi abbattere e demotivare da un sistema patriarcale antidiluviano.

 

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