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King… Leo, ovvero il potere dell’oblio

Luglio 01
02:00 2007

Solo nella sua stanza, ossificato, fattosi inespressivo come pietra, questo grandissimo attore, regista e artista tout court, ancora una volta è rimasto fuori da ogni circuito mediatico, con l’aura dell’icona inconciliabile con il nostro tempo, in quello strano limbo tra vita e morte giace come Lear che cerca invano un anelito di vita nel corpo esanime di Cordelia. Lear, questo vecchio pretenzioso e sgomento non ha più parole per nessuno, si è rifugiato in una zona liminare dove nessuno può azzardare ipocriti necrologi e fingersi addolorato per la scomparsa del maestro.
Leo De Berardinis da sette anni è l’uomo che uno sciagurato intervento chirurgico ha trasformato in vegetale; uno dei più grandi attori del panorama teatrale mondiale si è defilato e ha sciolto le sue riserve sulla vita rimanendone ai margini, come sempre. L’indicibile di Leo era dietro la smorfia che schiacciava il suo sigaro rilassante e che nei camerini di una notte passata mi disse “la censura è nel denaro” e insistette nel dire che resistere è un imperativo assoluto se fai questo mestiere per elezione, perchè l’uomo in quella specifica esperienza trasfigurante che è il teatro trova un’alterità che è dentro se stesso. Leo e Lear; Totò e principe di Danimarca, Shakespeare non elisabettiano della tradizione partenopea; Mario Merola e Charlie Parker; un Gigante della montagna del Novecento e del Mille. Disorientante, potente, evocativo in ogni suo gesto teatrale, uno dei più grandi artisti italiani il cui ricordo, la sua biografia e il suo testamento artistico non si può esaurire in un breve meemento da addetti ai lavori.
Celebriamo celebrità inesistenti, istituiamo fragorose risonanze mediali a scopo di un lucro che censura, acconsentiamo l’invasione di simulacri privi di senso e la memoria diviene strumento autocelebrativo che riduce l’appartenenza a piccoli gruppi di potere politico. Questa realtà non riconosce più l’arte, le anime gravide di sentimenti, non si ferma nemmeno un secondo a pensare e a metabolizzare le esperienze e sbrigativamente supera ogni ideale.
Leo De Berardinis ha fatto parte di una generazione di artisti che hanno attraversato le avanguardie teatrali, le hanno superate quando esse sono diventate maniera, moda e sistema di interessi. Hanno tradito il verbo comune dell’epoca e ricucito con alcune forme della tradizione per solcare vie lontane dai circuiti ufficiali, sempre con l’idea di un teatro totale, una forma da cui potesse germogliare l’essenza, il senso del divino. Scelte estreme che hanno consegnato questi artisti ad una storia che nessuno riconosce più.
Carmelo Bene, Perla Peragallo, Carlo Quartucci, Ruggero Cappuccio, Antonio Neiwiller, Toni Servillo, Enzo Moscato, alcuni dei suoi compagni di viaggio sono testimoni di quel rigore vitale, di una tensione rigenerante e politica del teatro, solitario Don Chisciotte la cui ombra si intravede appena in questa società compulsiva e peripatetica, anestetizzata da chiose virtuali, da vicende umane respinte da coscienze riluttanti.
Addà passà a nuttata! diceva Eduardo in Napoli milionaria, Addà passà ‘a nuttata di Leo De Berardinis fu uno degli spettacoli più belli cui io abbia assistito nella mia vita, la cui grandezza fu attestata da una serie di inevitabili riconoscimenti italiani ed europei e che ancora oggi rappresenta uno dei vertici del teatro contemporaneo. E che la nottata passi è l’augurio che io faccio a questo grande artista, sperando che qualche lettore possa condurre il proprio interesse al di là delle apparenze di questi strani giorni e voglia condividere questa mia preghiera.

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