Kenya, UE, Italia: che differenze!
Il governo di Nairobi, capitale del Kenya, deve tagliare i costi della pubblica amministrazione, che ha raggiunto, pare, livelli insostenibili.
Il presidente Kenyatta e il suo vice, si sono tagliati lo stipendio del 20% nell’ambito delle misure di austerity annunciate per ripianare il bilancio nazionale. Non solo, la commissione per gli stipendi del settore pubblico ha stabilito un tetto massimo di 18mila dollari, pari a poco meno di 13mila euro, per gli stipendi dei dirigenti pubblici.
L’otto marzo 2014 il Financial Times scrive che l’Europa pensa di introdurre misure restrittive sui compensi dei manager delle società quotate. La Commissione europea, sta lavorando a una proposta che prevede la possibilità di sottoporre al voto vincolante dell’assemblea degli azionisti le paghe dei ‘top executives’. L’obiettivo è quello di correggere squilibri che, in alcuni casi, hanno scandalizzato l’opinione pubblica di molti Paesi! E si parla solo ed esclusivamente di S.p.A., cioè parlando dell’Italia si potrebbe imporre a Marchionne o a Profumo o a Romiti di prendere solo un 20/30% in più del salario di un operaio. Imporre, sì, perché se dovesse passare questa norma europea, le assemblee degli azionisti avrebbero finalmente un potere decisionale e non solo consultivo come ora in Italia.
Questa storia me ne fa venire in mente un’altra: anche da noi in Italia i costi dello Stato, nel suo insieme, sono molto alti. Sprechi a parte e una razionalizzazione delle spese, perché i nostri deputati, senatori, assessori e consulenti visto che non sono più dei “servitori dello Stato”, scelti con libere elezioni, ma appartenenti a uno schieramento politico, non vengono pagati da i partiti stessi? Sicuramente avrebbero giusti salari e lo Stato potrebbe investire per il benessere di tutti.
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