IX RASSEGNA DI POESIA DIALETTALE A ROCCA DI PAPA
di Lina Furfaro
L’ iniziativa per promuovere i dialetti si rinnova ogni anno a Rocca di Papa con Rita Gatta e non c’è nulla che la freni ormai: vento e pioggia ai tempi della Contea della birra, tra quei teloni al profumo di salsicce, ieri -14 settembre – la manifestazione pro e contro immigrati in un borgo assediato da forze di polizia con tanto di elicottero che sorvolava la zona!
L’Assessore alle politiche sociali Danilo Romei e Lorena Gatta si sono scusati per il cambio repentino di sede e sono stati accanto al pubblico assieme al consigliere Enzo Labasi; un grande contributo è venuto anche dalla dott.ssa Annalisa Gentilini.
È stata poi la forza entusiasmante della poetessa rocchegiana che ha risolto l’accoglienza in un’atmosfera deliziosa e dinamica nella quale si sono immersi e sono stati coinvolti i numerosi poeti giunti da ogni parte dei Castelli Romani: la trainante Rita Gatta ha coordinato musiche e ospiti della IX Rassegna di poesia dialettale, spostatasi nella biblioteca comunale, come risposta che nulla ferma la cultura e che non c’è arma migliore di questa che possa portare alla socializzazione, a contrastare ogni estremismo. Vista sotto questo aspetto e nella sua fiorente manifestazione di vita, l’iniziativa si è presentata nel migliore dei modi, un contrasto eccellente. Infatti la poesia dialettale non può che comunicare ancora meglio concetti etici profondi, espressi nella loro originalità, allargando in una sorta di abbraccio in versi, raccontando di tradizioni, usi, costumi, in diverse forme dialettali.
Tra autori e interpreti, oltre una trentina i poeti che hanno sfilato; una presenza particolare l’ha evocata, dando inizio alla serata, la voce di Rita, ricordando in versi Giulio Montagna, il poeta veliterno che ci ha lasciato questa estate.
Intermezzati dalle canzoni e note musicali di Assy Serafini e Paolo Valbonesi, i componimenti poetici, addolciti anche da ciambelle delle spose, quale simbolico dono offerto ai partecipanti, hanno vivacizzato i dialetti di molte regioni d’Italia e dei Castelli Romani. Autori e interpreti della serata sono stati: Claudia Sellati, Gianfranco Botti, Maria Fondi, Lorenzo Gabrielli, Anna Giovanetti, Mario Giovanetti, Florentina Doina Pagnejer, in rocchegiano; Franco e Concetta Carfagna con versi di Anna Perrone tradotti in rocchegiano; Maria Polidoro con brani in
rocchegiano e in calabrese, come anche la sottoscritta e Aldo Coloprisco; Ignazio Zito con versi in siciliano, Gaetano Ricco napoletano. Tornando ai Castelli Romani hanno declamato in colonnese Fausto Giuliani, Lucia Mammucari in veliterno, Matilde Ventura in frascatano, Giulio Jacoangeli in romano, Antonella Diana monticiano, Maria Rita Canterani in genzanese, Armando Sbordoni e Fernando Badia in albanense, Patrizia Audino con i versi della sua mamma in velletrano; tutti accomunati dall’amore crescente per il proprio idioma, per i dialetti.
Da non dimenticare, dunque, la grande valenza culturale dell’ascolto e dello scambio di esperienze letterarie dialettali nella manifestazione che è giunta, con successo, quest’anno alla sua nona edizione. Abbiamo avuto conferma, ancora una volta, che una moltitudine di aspetti unisce i partecipanti della Rassegna dialettale di Rocca di Papa ideata da Rita Gatta: la salvaguardia della lingua delle origini, quella che esprime in modo viscerale e diretto, che diviene sarcasmo, che emoziona e stempera con ironia. È la lingua che fermenta e poi sprizza dalle pieghe della vita come dalle rughe dolci e sagge dei nonni, espandendosi, infiltrandosi; è la lingua che, se sostituita, non restituisce il suo prezioso spessore: il dialetto sa dipingere, plasmare, narrare, ma anche analizzare con energia le colpe umane, sciogliendole, assolvendole, senza cristallizzarle. E l’organizzatrice della serata conclude: “Sono contenta di esser riuscita a realizzare anche quest’anno questa “festa del dialetto”, forse un po’ più sofferta e movimentata data la coincidenza della manifestazione di protesta, ma sembra significativa anche questa contemporaneità. Il dialetto accomuna, rende fruibile quel che è universale in ogni essere vivente, la tradizione, il folclore, il senso di appartenenza e la conferma che ciascuno di noi è simile quando si esprime nella lingua dei padri perché fa emergere con l’ironia, la commozione, la satira e la comicità quello spirito che nel tempo resta sospeso nell’intimo scrigno dell’anima”.
Foto di Leonardo Cepale
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