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Italo Calvino e l’Oulipo – 2

Italo Calvino e l’Oulipo – 2
Maggio 31
23:00 2009

Italo CalvinoIn una conferenza tenuta da Italo Calvino in varie città d’Italia, da Torino a Roma nel 1967 dal titolo ‘Cibernetica e fantasmi’, le cui teorizzazioni saranno poi pubblicate come ‘Appunti sulla narrativa come processo combinatorio’ su Nuova Corrente, lo sentiamo esprimersi così: “Sappiamo che, come nessun giocatore di scacchi potrà vivere abbastanza a lungo per esaurire le combinazioni delle possibili mosse dei trentadue pezzi sulla scacchiera, così – dato che la nostra mente è una scacchiera in cui sono messi in gioco centinaia di pezzi – neppure in una vita che durasse quanto l’universo s’arriverebbe a giocarne tutte le partite possibili. Ma sappiamo anche che tutte le partite sono implicite nel codice generale delle partite mentali, attraverso il quale ognuno di noi formula di momento in momento i suoi pensieri, saettanti o pigri, nebulosi o cristallini.” In Strutturalismo e critica (1958-65) Cesare Segre afferma che al romanzo nel romanzo Calvino ha sostituito il romanzo della teoria del romanzo. Lo ha fatto sacrificando a volte il dato storico ma a vantaggio di quello semiotico o metacomunicativo, come istituzionalizzato dai telqueliani nella rivista Tel Quel dove, svelando gli inganni, si da valore e peso al lavoro della scrittura. I fiori blu di Queneau, uscito nelle edizioni Gallimard nel 1965 e tradotto da Calvino nel 1967, rappresentano secondo lui il primo tentativo di porre ordine alla confusione della storia, eludendo la storia stessa. Ma Calvino non riesce quasi mai ad eludere la storia. Grazie alla epocale rivoluzione dell’imminente allunaggio, in questo periodo si osserva di più la luna, oggetto e metafora delle Cosmicomiche (1965), già bistrattata, o meglio, uccisa dai futuristi nel suo aspetto più romantico ossia quello del chiaro di luna. Da qui prende le mosse il genere cosmi-comico o cosmo-gonico che osserva il potenziale di ogni forma dell’immaginazione per approdare, nella Petite cosmogonie portative (1950), dal lontano Lucrezio all’idea della tecnogenesi, vista come evoluzione dell’organogenesi. Nell’evasione dal contingente e nell’ascesa verso mondi galattici e spaziali, nelle Cosmicomiche come in Ti con zero (1967), c’è invece la storia di quegli anni: dalla volontà di conquista dello spazio guardata con occhio cosmi-comico faceto e derisorio ma anche incantato e sbigottito, fino all’idea di obsolescenza e surplus per quel fenomeno di alba neocapitalistica in atto nel nostro paese, di cui egli va già scorgendo pericoli ed esiti nefasti riportati in lunghi elenchi beckettiani di deiezione in cui compare una luna-ricettacolo piena di: “unghie e cartilagini, chiodi, cavallucci marini, noccioli e peduncoli, cocci di stoviglie, ami da pesca, certe volte anche un pettine.” È una scienza a portata di uomo quella cosmicomica e la luna è dissacrata per essere rivalutata al tempo stesso attraverso l’asse Ariosto-Galileo-Leopardi che l’autore rivendica come linea di forza e fonte primaria del suo libro. Galileo in particolare incarna lo scienziato arricchito da una profonda coscienza letteraria: “Non per niente Galileo ammirò e postillò quel poeta cosmico e lunare che fu Ariosto”. Ma la novità del genere cosmicomico, affonda le sue radici nelle Operette morali. Il potere della celia permette a Leopardi di avvicinarsi e allontanarsi dalla materia narrata. Nel suo cosmo sembrano ridursi tutte le distanze interplanetarie, inghiottite da un pessimismo che annulla appunto ogni differenza e così la terra sfiora la luna seguendo un percorso asintotico in un susseguirsi di immagini cosmicomiche ante-litteram. A questo va collegato il difficile meccanismo di dissimulazione autoriale che Calvino impara da Borges e rielabora a suo modo. Si pensi al personaggio creato dallo scrittore argentino in Ficciones (1944), Pierre Menard, figura irreale di uno scrittore francese tardo-simbolista che riscrive tout court il Don Chisciotte di Cervantes e che, perciò, è autore e lettore allo stesso tempo. Con Borges, dichiara Calvino, “nasce una letteratura elevata al quadrato e nello stesso tempo una letteratura come estrazione della radice quadrata di se stessa”. Nasce insomma una letteratura che ha bisogno di essere inscritta in una biblioteca ideale alla ricerca del libro apocrifo da re-inventare. (Fine)

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